Bambini di strada

                                                                    



di Emma Nuri Pavoni

Si chiamano "Gamines" in Colombia, "Meninos" in Brasile, "Chaveas" nelle zone gitane dell’Europa… Nomi diversi per una stessa triste realtà e destino. Sono "bambini di strada" invecchiati prematuramente, induriti dalla lotta, non solo per il pasto, ma soprattutto da quella contro gli squadroni della morte che li vedono come "scarti della società" da eliminare. Stabilire il numero dei "bambini di strada" nel mondo diventa sempre più difficile: Amnesty International ne stima 100-150 milioni ma aggiunge che potrebbero essere molti di più. Si tratta di bambini che possono avere anche solo 5-6 anni, vivono e lavorano per strada chiedendo l’elemosina, vendendo frutta, sigarette ed altro, lucidando scarpe, spesso rubano o si prostituiscono per sopravvivere. Dormono nei parchi, negli ingressi dei palazzi, sotto i ponti, in edifici abbandonati o, come nelle città dell’Est europeo, sottoterra.

La durezza della vita quotidiana sulla strada trasforma prematuramente questi bambini in adulti, ogni giorno devono affrontare il problema della sopravvivenza e resistere ad ogni avversità. Dietro ad ogni bambino di strada c’è una famiglia in estrema povertà, un padre senza lavoro o mal pagato, un figlio non desiderato, una famiglia distrutta, un padre e una madre maltrattatati in un ambiente ostile, e nella maggior parte dei casi, tutti questi fattori insieme. Quando i bambini hanno la strada come casa, luogo di lavoro e sopravvivenza, scuola di vita, sono sfruttati e costretti a mendicare, rubare, prostituirsi; molti bambini trovano così sulla strada l’affetto e la compagnia di amici quali forme di sopravvivenza, molti trovano la morte. Parecchi di loro fanno uso di droghe inalanti come la colla, che sono poco costose e facili da trovare, le utilizzano soprattutto per stordirsi e non sentire la fame e il freddo, ma queste causano danni irreversibili al cervello e debilitazioni fisiche. Quello dei bambini di strada è un problema essenzialmente urbano, che si presenta con maggiore crudezza nelle città industriali dei paesi in via di sviluppo; è il riflesso di un processo doloroso e graduale del sistema capitalista, neoliberale e colonizzatore. Negli ultimi anni, si è visto chiaramente che le periferie delle grandi città, nelle quali arrivano i contadini attratti dalle possibilità di lavoro come la vendita ambulante, generano bambini di strada, non importa in che parte del mondo si trovino e neppure il livello di sviluppo del paese. Dai quartieri di una zona industrializzata, dove non c’è più lavoro come in Edimburgo, Liverpool o Birmingham, fino alle strade di Mosca o Shangai.

In Brasile sono almeno mezzo milione i "Meninos de rua", vivono e lavorano nei centri delle città più grandi come San Paolo, Rio de Janeiro, Bahia … creando imbarazzo ai passanti e disturbo ai commercianti; inoltre infastidiscono la polizia che li arresta con accuse come il vagabondaggio o semplicemente per la loro presenza sulle strade, reati che non compaiono nel codice penale del paese. Vengono rinchiusi in istituti di pena giovanile, in celle sovraffollate e sporche, e secondo i rapporti di Amnesty International, subiscono maltrattamenti e pestaggi da parte delle guardie e, a volte, violenze, inclusi abusi sessuali, da parte di ragazzi più grandi. Moltissimi sono i bambini che popolano le strade di Bogotà e altre città della Colombia, dove il tasso di violenza è tra i più alti dell’America Latina. Fuggono dalle periferie dove le condizioni di vita sono insostenibili e raggiungono ogni giorno il centro delle città, dove spesso vengono assoldati per uccidere su commissione: una pistola e si trasformano in piccoli sicari per un paio di scarpe o un pezzo di pane. Altri si arruolano volontari nei vari gruppi guerriglieri esistenti in Colombia, sperando in una vita migliore, in un pasto sicuro e soprattutto perché il gruppo diventa un surrogato della famiglia inesistente.

In Africa, al termine di ogni conflitto, aumentano gli orfani che vagano per le grandi città cercando di sopravvivere: in Ruanda, dove la guerra civile a reso orfani 100.000 bambini, sono ormai migliaia quelli che vagano per le strade della capitale Kigali. Così come in Zaire, Burundi e Angola. Altri, si ritrovano soli perché i genitori muoiono per malattie, soprattutto l’AIDS, e quasi sempre loro stessi sono malati. In Zambia, uno dei paesi dove la malattia è più diffusa, si calcola che per la fine dell’anno i ragazzi per strada raggiungeranno il numero di 300.000 mila; anche il rappresentante UNICEF dello Zambia denuncia la gravità della situazione, affermando che questi bambini sono esposti ai mille rischi della strada, come l’abuso di droghe e la violenza sessuale. A Nairobi, la capitale del Kenia, i bambini di strada nel 1989 erano 3.600, oggi sono 40.000. Vivono ai margini della città, nelle immense discariche, cercando tra i rifiuti qualcosa da poter rivendere per vivere un altro giorno.

In Asia, oltre che nei paesi dove tradizionalmente si trova un gran numero di bambini di strada, come l’India e il Bangladesh, ora il fenomeno è comparso anche nelle grandi città della Cina, una fra tutte Shangai. Questo è la conseguenza della politica del "figlio unico", imposta alle famiglie dal governo cinese. I più poveri, non potendo permettersi di pagare la multa per la nascita del secondo figlio, cambiano città perdendo così la casa e il lavoro. Trovandosi senza alcun sostentamento mandano i figli in strada a mendicare. Si può definire emergente anche il caso del Vietnam che, con la politica del "rinnovamento economico", ha iniziato a trasformare il vecchio sistema economico pianificato in libero mercato; questo ha portato una forte migrazione della popolazione dalle zone rurali alle città senza però avere il supporto di strutture adeguate. Alcuni dati indicano in 16.000 i bambini di strada in Vietnam, un numero sicuramente in crescita, in particolare nelle città di Ho Chi Min e Hanoi.

Si può definire relativamente recente la comparsa dei bambini sulle strade d’Europa, il numero maggiore si trova nei paesi dell’Est: a Budapest sono tra i 10.000 e i 12.500, mentre a Bucarest ce ne sono oltre 5.000. In Russia nessuno sa con esattezza quanti siano i bambini che vivono per strada, potrebbero essere cento mila, ducento mila o un milione. Il crollo del comunismo, la divisione dell’Unione Sovietica, le conseguenti guerre e le crisi economiche hanno portato al caos sociale; diffondendo la povertà, l’alcolismo e la prostituzione. In questo sistema, centinaia di migliaia di bambini si ritrovano a vivere una vita dura per strada. Hanno dagli 8 ai 14 anni, sono in fuga da famiglie che abusano di loro o che semplicemente non sono più in grado di occuparsene: molti sono zingari o appartenenti a minoranze etniche non gradite. In alcuni casi escono da orfanotrofi statali, che non avendo più alcuna risorsa, sono costretti a disfarsi di loro. Si riuniscono in gruppi o bande, si aiutano fra loro sostituendo in un certo modo la famiglia. Il loro stato di salute è sempre deficiente, bevono alcolici e inalano colla, in alcuni casi sono coinvolti nel traffico di armi e droga. Quelli che vengono arrestati per accattonaggio o scippo vengono portati in centri che sembrano carceri, con vigilanti provvisti di armi automatiche e cani. Lì ricevono solo un pasto al giorno, non esistono programmi di educazione né altre attività per i piccoli detenuti. Dopo questo primo centro i bambini vengono trasferiti in altre istituzioni dove sono abbandonati a loro stessi e maltrattati. Il governo russo, che si trova ora ad affrontare un problema prima sconosciuto, in alcuni municipi, come in quello di San Pietroburgo, sta cercando di migliorare questi centri con l’aiuto di organizzazioni internazionali e apprendendo da esperienze di altri paesi.

Esistono numerose organizzazioni non governative che si occupano del fenomeno dei bambini di strada, cercando di risolvere quelle che si possono definire "emergenze locali" in ogni parte del mondo. Ma questo pur immenso lavoro rimarrà una goccia nel mare, come parole al vento rimarranno gli appelli dell’UNICEF o di Amnesty International se ogni governo non prenderà coscienza che questi bambini non sono "un problema da eliminare", al contrario, con leggi e strutture adeguate, una grande risorsa per un futuro migliore.


Di Ammensty International – Coordinamento Bambini/Minori

Abusi, violenze…

Nel febbraio 1999, un membro della Polizia Nazionale guatemalteca svegliò a calci due ragazzine quindicenni, Lorena Carmen Hernandez Carranza e Nery Mateo Hernandez, in un parco pubblico a Città del Guatemala. Le gettò entrambe a terra e le obbligò a spogliarsi, poi abusò di Lorena per 20 minuti. Le due ragazze identificarono il poliziotto e sporsero denuncia formale con l’aiuto di una locale organizzazione non governativa (NGO), Casa Alianza. Nel settembre 2000, l’agente di polizia non era ancora stato sottoposto a una indagine.

Mohammad Shawkat, un ragazzino di strada di 13 anni, fu violentato da due agenti di polizia nel luglio 1993 a Dhaka. Il giorno seguente Mohammad entrò al Medical College Hospital di Dhaka con il retto sanguinante e altri lesioni. L’aiuto chirurgo dell’ospedale confermò che tali lesioni erano state causate dalla violenza subita. Due quotidiani in lingua bengali riportarono l’accaduto e i due poliziotti furono richiamati all’ordine e sospesi, anche se sembra che nessuna condanna sia stata emessa contro di loro. Mohammad sparì dall’ospedale e non fu possibile localizzarlo; probabilmente era scappato per timore di ritorsioni e per paura delle minacce dei poliziotti.

LEGISLAZIONE INTERNAZIONALE

La Convenzione sui diritti dell’infanzia obbliga gli Stati a rispettare i diritti dei bambini senza distinzioni di sorta e a prescindere da ogni considerazione di razza, colore ecc. (art.2). Anche i bambini di strada hanno quindi il ‘diritto’ di godere dei diritti stabiliti dalla Convenzione. Essi devono essere protetti dalla tortura e dal maltrattamenti (e ogni altro tipo di abuso) e se sospettati di qualche reato devono essere trattati secondo le esigenze legate alla sua età (art.37)



torna alla homepage