Burattinai di parole

 



Carissime lettrici e lettori, inizio questa riflessione a voce alta confessandovi subito che non vi dirò tutto quello che penso. Non già per cattiva volontà nei vostri confronti, ma perché è iniziata una nuova epoca nella quale (lo dico per quanti non se ne fossero ancora accorti) la libertà di espressione non è più garantita a tutti nello stesso modo. Già, perché se il ministro Scajola va' in Parlamento ad accusarci di essere dei delinquenti - a Genova c'ero anch'io con Pax Christi, i nostri vescovi e circa 800 movimenti costituitisi nel Genoa Social Forum, molti dei quali associazioni di volontariato e istituti missionari - o almeno a definirci aiuto-delinquenti, senza prove, rifiutando persino l'idea di una commissione di indagine… lui può! Ma se io dovessi scrivere tutto quello che penso circa il comportamento delle forze dell'ordine in quei drammatici giorni dal 20 al 22 luglio, o peggio se dovessi esprimere per intero il mio giudizio sull'atteggiamento assunto dal governo nei giorni successivi…! E' il nuovo corso della democrazia, che la "casa delle libertà" ci riserva. Libertà totale, ma non per tutti; come del resto è il mercato. Ma poiché quello di cui siamo testimoni diretti, per averlo subito, è stato ripreso e più volte trasmesso in televisione, ogni persona intellettualmente onesta, a qualsiasi schieramento politico, culturale o religioso appartenga, ha ormai elementi sufficienti per farsi un'idea propria di quanto sia successo e questo ci permette di condividere alcune importanti considerazioni. La prima sensazione, arrivando a Genova, fu la sorpresa. Ci aspettavamo una città presidiata dalle forze dell'ordine, invece non se ne vedeva l'ombra. In seguito avremmo visto molto più della loro ombra, ma in giro per la città, anche dove c'erano banche e negozi già sventrati, niente! I telefonini ancora funzionavano ed io mi tenevo in contatto con il coordinatore nazionale di Pax Christi, che era rimasto bloccato al centro della città dai primi drammatici scontri, nel corso dei quali sarebbe stato ucciso un giovane manifestante. A quell'ora non ci rendevamo ancora conto di quella che si sarebbe rivelata una costante nelle ore successive e l'incredulità, via via dissolta dalle conferme, lasciava il posto allo sconcerto: come era possibile che le forze dell'ordine non osteggiassero i gruppi violenti (i così detti black bloch) mentre si scagliavano contro manifestanti pacifici e inerti? "Pronto? E' vero che le forze dell'ordine hanno caricato indiscriminatamente e distrutto gli stand delle ONG, del Commercio Equo e Solidale…?". "Sì, e anche alcuni disabili della Comunità 'Papa Giovanni' di don Benzi sono stati malmenati. E' un'apocalisse!". "Non è possibile… ma sono impazziti?" "Non so cosa dirti, ma ti garantisco che è vero…". Decidiamo allora di fare un comunicato per invitare tutti gli aderenti al nostro movimento a non partecipare alla manifestazione del giorno seguente. Non già per dissociarci dal Genoa Social Forum, al quale abbiamo rinnovato la nostra totale adesione, ma preoccupati per l'incolumità delle persone - molte delle quali famiglie con ragazzi e vecchi - in una situazione in cui ormai si veniva caricati proprio da coloro che avrebbero dovuto piuttosto proteggerci, e soprattutto perché appariva sempre più plausibile la possibilità che una manifestazione doverosamente nonviolenta, in alternativa alla violenza del sistema, diventasse invece pretesto di ulteriori violenze e cariche indiscriminate. Ma ormai era troppo tardi. La gente affluiva da ogni parte: 200-300 mila persone! Le ottocento associazioni, che per mesi avevano studiato e preparato quell'evento, non ebbero più il tempo, né la serenità psicologica, per organizzare in una sola sera qualche cosa di alternativo. Ed il sabato è successo quello che già sapete. La sera, a Boccadasse, la parrocchia dei francescani conventuali, dove istituti e movimenti religiosi avevano organizzato tre giorni di preghiera e digiuno, il paesaggio marino contrastava con gli stati d'animo. Ci sentivamo traditi. Beninteso: non avevamo mai simpatizzato per l'attuale governo, ma almeno le rassicurazioni del presidente del Consiglio circa la tutela del diritto costituzionale a manifestare pacificamente, ci erano sembrate veritiere, invece… la polizia aveva caricato proprio noi! A rammaricarmi non era soltanto l'accaduto, ma anche ciò che avrebbe significato in termini di divisione e scontro sociale. Lo spettro della "cultura del nemico" tornava a fare capolino e già qualcuno parlava di una nuova "strategia della tensione". Tutte cose che credevamo definitivamente sepolte. Alcune consolazioni però non sono mancate. La prima è stata considerare come, nei discorsi di tutti, il rancore fosse nei confronti del governo e della forze dell'ordine in quanto tali (è grave, me ne rendo conto, ma di meglio non si poteva sperare: i miracoli non si possono pretendere), non c'era invece odio nei confronti delle persone. Significativo il fatto che la rabbia per la morte del giovane contestatore non impediva ai più di manifestare compassione anche per il carabiniere che aveva sparato in preda al panico. Ci chiedevamo piuttosto perché giovani di leva fossero mandati allo sbaraglio in quel modo… Io, seduto su uno scoglio, pensavo che probabilmente qualcuno dei miei giovani - incontrati all'oratorio e poi entrati in polizia - era dall'altra parte e la rabbia mi saliva al pensiero che il sistema (o come preferite chiamarlo) possa mettere "contro" giovani della stessa generazione, che fino all'altro ieri giocavano insieme. Pensavo ai loro genitori, a casa, preoccupati, quanto i genitori dei manifestanti, che i loro figlioli tornassero incolumi, accomunati forse dalla stessa preghiera. Sì, nutrivo lo stesso affetto per gli uni e per gli altri e mi chiedevo, sgomento, come lo Stato potesse giocarsi con tanta disinvoltura e leggerezza la fiducia delle giovani generazioni. Giustamente Pasolini ammoniva che spesso i veri proletari sono i poliziotti ed i carabinieri, usati dallo stato. No, non era con loro che ce l'avevamo, ma con chi li aveva mandati con ordini precisi, che ormai iniziavamo a comprendere. E per cosa? Per difendere quegli "otto" che stavano in gabbia, convinti di avercela fatta ancora una volta. E in parte era vero. Già, perché a causa di quello che stava succedendo, un primo risultato l'avevano ottenuto: distogliere l'attenzione dai loro interessi. In quei giorni infatti l'opinione pubblica avrebbe potuto prendere coscienza delle questioni che stavano affrontando, ma in questo modo è stata deviata. E, passata la festa, lo strascico delle polemiche continua a permettergli di perseguire indisturbati i loro obiettivi. Non già quelli apparenti, contenuti nelle dichiarazioni ufficiali, ma quanto si sono "detti all'orecchio, nelle stanze più interne" (Lc 12,3). Di certo non gli faremo anche questo regalo e già l'analisi del documento finale suscita alcune interessanti considerazioni. "1. Noi, i Capi di Stato e di Governo di otto delle principali democrazie industrializzate…". A parte la constatazione, quasi banale, per cui, secondo questi signori, è l'industrializzazione a caratterizzare le democrazie contemporanee - concezione di per sé coerente, perché è per questo e non per altro che si sono incontrati -, viene sottolineato da essi stessi il fatto che siano solo in otto: non dovrebbero perciò prendere decisioni vincolanti per i popoli dell'intero pianeta. In realtà non è così, perché costoro detengono il pacchetto di maggioranza alla Banca mondiale dove non vale il principio "un uomo-un voto". Questo vige in tutte le istituzioni democratiche e lo sarebbe, in linea di principio, anche all'ONU, dove però il condizionale è d'obbligo a causa dell'esistenza del Consiglio di Sicurezza. Di questo fanno parte le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, che dopo oltre mezzo secolo dalla fine del conflitto ancora si arrogano il diritto di veto, potendo così invalidare ogni risoluzione, seppure votata a maggioranza, e sminuendo di molto l'efficacia e la rappresentatività dell'ONU stessa. Alla Banca mondiale il potere di voto è invece direttamente proporzionale alle azioni possedute. Così i G8 la controllano e attraverso di essa gestiscono l'intero pianeta; costituendo di fatto un illegittimo governo del mondo ed una istituzione alternativa a quella delle Nazioni Unite. A nulla valgono a questo punto alcune operazioni di immagine, come invitare ai loro summit il Segretario generale dell'ONU, o - novità assoluta - qualche rappresentante dei governi del sud del mondo: tutti insieme contano niente. Proseguendo la lettura del documento colpisce l'opera di "captatio benevolentiae", perseguita come se fossimo degli stupidi. Semplicemente hanno copiato la lista delle richieste che proveniva dalla società civile e hanno risposto: "Bene, se è questo che volete, vi promettiamo tutto: dalla riduzione del debito alla salute per tutti". Sono però promesse prive di un progetto preciso e verificabile. E dove al contrario c'è - orrore! - è la peggiore delle burle. Lo strumento adottato è esattamente il potenziamento, e non la rimozione, della causa principale dei mali che oggi colpiscono i tre quarti dell'umanità. Così mentre larghi strati della società civile riconoscono sempre più in questo modello selvaggio di mercato (dove le regole ci sono, ma per tutelare gli interessi di pochi) la causa di tante sofferenze, e non soltanto i "contestatori", ma lo stesso pontefice ha più volte tuonato su questo, la soluzione da loro "imposta" è ancora una volta quella di potenziare ulteriormente lo strapotere del mercato. La terapia coincide insomma con la malattia: è un buon ricostituente, non per il malato ma per il virus. Sembrerebbe follia, ma ha una sua logica, egoistica e perciò genocida ed ecocida. Ancora il documento recita: "Includere i paesi più poveri nell'economia globale è il modo più sicuro per rispondere alle loro aspirazioni fondamentali". Vorrei proprio sapere quali siano i paesi così fortunati che oggigiorno possano dire di non subire già una forzata inclusione nell'economia mondiale, naturalmente dalla parte di chi questa economia la paga col sangue; e comunque si sono guardati bene dal chiedere il parere di codesti paesi, mentre perpetuano una logica assistenzialista che si limita ad istituire fondi e a condonare parti irrisorie di debito senza nemmeno lambire i meccanismi e le cause strutturali che generano fame, miseria e morte. Se infatti duemila miliardi di lire stanziati "da subito" sono una cifra irrisoria non solo rispetto ai bisogni, ma anche ai guadagni ottenuti, ad esempio, ogni anno dalle case farmaceutiche in un solo paese occidentale, la loro destinazione è ancora più sconcertante: con buona probabilità gran parte di essi andrà ancora alle medesime multinazionali del farmaco "a fini di ricerca". Per questo motivo l'associazione internazionale "medici senza frontiere", con una presa di posizione fortemente critica ha rifiutato di partecipare al comitato di gestione. Parole dunque… sempre ancora solo parole, su questo palcoscenico globale in cui burattinai, ben peggiori di Mangiafuoco, le fanno piroettare per incantarci come allocchi. Ma è un'altra la danza che vogliamo ballare! E' quella che alcuni giovani hanno saputo inscenare, quasi per caso, in una strada qualsiasi di Genova. E' stata la danza delle danze, quella che meglio ha interpretato lo spirito con cui eravamo là. Alzate le mani, in segno di nonviolenza, hanno fatto scudo tra le forze dell'ordine e i "black" che avevano di fronte. Dal gruppo pacifico una voce si è levata per invitare i poliziotti a togliersi il casco. Gian Luca, 24 anni, ha accolto l'invito, subito imitato da altri colleghi. Entusiasta per quel gesto inatteso, una ragazza, è corsa ad abbracciarlo, mentre i violenti, disorientati da quanto accadeva, prendevano il largo. E non fu certo un caso isolato: altri episodi di solidarietà, soprattutto da parte dei genovesi, hanno riscattato le nostre speranze e risparmiato ulteriori dolori. Un amico mi ha raccontato di come, accanto a lui, un poliziotto ha protetto da una delle innumerevoli cariche delle forze dell'ordine un giovane disabile che aveva saputo scorgere nel mucchio, e al quale, una volta passato il pericolo, ha donato il suo fazzoletto. Certo sono episodi dispersi, o forse dis-seminati, nella tristezza di giorni segnati dalla violenza e dall'ipocrisia, dove però qualcuno si è ricordato di essere uomo o donna e si è tolto la maschera, per riprendersi il proprio volto, il nome e il futuro, restituendo anche a noi il diritto di sperare che oltre la miopia di una classe politica aggressiva e prepotente e al di là della violenza stessa del sistema, gli uomini e le donne del nostro tempo sapranno difendere l'armonia e la pace inscritte nel creato, che otto piccoli uomini vorrebbero devastare.

Alberto Vitali



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