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               El 
                Salvador sta vivendo uno dei momenti più delicati, ma anche 
                più carichi di speranza della sua storia. Il 15 marzo 2008, 
                infatti, per la prima volta nella sua vicenda repubblicana, è 
                stata rispettata la volontà popolare, che ha decretato 
                la fine del potere oligarchico-militare che da quasi due secoli 
                - prima con continui colpi di stato e giunte militari, poi con 
                incredibili brogli elettorali - governava il piccolo paese centroamericano. 
                La sera di quello stesso giorno, quando ormai si era rivelato 
                inutile ogni rinnovato tentativo di frode, il presidente eletto, 
                Mauricio Funes, aveva finalmente potuto rivolgersi alla nazione 
                con queste parole: "L'opzione per i poveri (OP), fatta un 
                tempo dalla Chiesa, sarà la rotta del mio governo". 
                 
              Alcuni 
                cenni storici 
              Per 
                comprendere la situazione attuale del paese e le sfide che si 
                pongono alla nuova classe dirigente, è necessario richiamare 
                alcune tappe significative della storia recente. Come tutti gli 
                stati mesoamericani, anche El Salvador festeggia quale data di 
                liberazione dal dominio spagnolo il 15 settembre 1821, che in 
                realtà corrisponde alla data della proclamazione d'indipendenza 
                del Messico. Da allora e per circa vent'anni fece parte della 
                "Confederazione delle Province Unite dell'America Centrale" 
                (insieme a Costa Rica, Guatemala, Honduras e Nicaragua) e si ritiene 
                che soltanto dal 1841 sia divenuta una repubblica autonoma. Già 
                il fatto che gli studiosi non abbiano a disposizione documenti 
                certi per stabilire avvenimenti storicamente così recenti, 
                la dice lunga sulla precarietà della situazione sociale 
                e politica cui ci stiamo riferendo! Per quanto dallo scioglimento 
                della suddetta confederazione, le cinque nazioni ebbero destini 
                molto diversi, almeno nella prima fase un dato le accomuna e cioè 
                il ruolo delle Compagnie Commerciali, tanto determinante da dare 
                origine al detto "repubbliche delle banane". Nel caso 
                di El Salvador ad una "República cafetalera". 
                Fu così che quando la crisi del '29 fece crollare il prezzo 
                del caffè, il paese conobbe la peggiore crisi economica 
                della sua storia: i latifondisti decisero di non raccoglierlo, 
                gettando nella miseria migliaia di braccianti e facendo scoppiare 
                violente proteste. Sull'onda del malcontento, in occasione delle 
                elezioni politiche del 1931, si formò allora il partito 
                comunista salvadoregno, che nonostante il successo elettorale 
                si vide negata la vittoria. Questo fece esplodere un'insurrezione 
                generale ma concentrata soprattutto nella zona occidentale del 
                paese, capeggiata dal leggendario Farabundo Martí, che 
                venne però prontamente soffocata, con un bilancio di 30.000 
                morti, tra indigeni e contadini, in un paese che non contava tre 
                milioni di abitanti. Non solo, ma in nome di un pesante progetto 
                di "integrazione", agli indigeni fu imposto di abbandonare 
                i propri usi e costumi e proibito il loro idioma. Ancora oggi 
                questa è una delle cose che colpisce maggiormente il viaggiatore 
                che passa dal Guatemala a El Salvador: nello spazio di pochi chilometri 
                scompare quasi improvvisamente ogni segno che richiami l'antica 
                tradizione maya. Superata la crisi e ristabilito l'"ordine", 
                il paese passò attraverso una serie di dittature militari, 
                tutte al servizio dell'Oligarchia (le famose 14 famiglie), fino 
                alla fine degli anni '70. La struttura sociale restò quella 
                di un vero feudalesimo agricolo, composto da latifondisti e coloni; 
                mentre la produzione si concentrava sulla cosiddetta "santísima 
                trinidad": caffè, cotone e canna da zucchero. Ma ormai 
                il mondo stava cambiando, in fretta, e l'arretratezza del sistema 
                economico salvadoregno non poteva sperare di sopravvivere a se 
                stessa. Uno scontro interno all'oligarchia - tra vecchi latifondisti 
                agricoli e moderni imprenditori - da una parte e l'insostenibilità 
                della miseria e della violenza repressiva dall'altra, fecero esplodere 
                la situazione. Tra quanti avevano sperato contro ogni evidenza 
                di risparmiare al paese un salto nel buio e un sicuro bagno di 
                sangue, ci fu l'arcivescovo Oscar Arnulfo Romero, ma quando - 
                al culmine della persecuzione contro la Chiesa, che si era messa 
                dalla parte del popolo - il 24 marzo 1980 fu ucciso anche lui, 
                non restarono dubbi su come sarebbero andate le cose. Le diverse 
                guerriglie, già da tempo operanti nel paese, ma sino ad 
                allora autonome, si confederarono nel Fronte Farabundo Martí 
                per la Liberazione Nazionale (FMLN) e per El Salvador iniziarono 
                12 anni di guerra e repressione, con un bilancio di circa 90.000 
                vittime (tra assassinati e desaparecidos, su una popolazione di 
                ca. 3,5 milioni di abitanti), quasi tutti ad opera delle Forze 
                Armate e del gruppo paramilitare ORDEN, sorto in seno alle stesse. 
                Il 16 gennaio 1992 furono quindi firmati gli Accordi di Pace (per 
                la verità imposti dalla comunità internazionale), 
                senza vinti né vincitori e tutti i principali attori del 
                conflitto si trasformarono in soggetti politici. I militari diedero 
                vita al Partito di Conciliazione Nazionale (PCN); alla sua destra, 
                il maggiore Roberto D'Aubuisson (mandante riconosciuto dell'assassinio 
                di Mons. Romero) trasformò ORDEN in ARENA, il partito ininterrottamente 
                al governo dal 1989 al 2008; il Partito Democratico Cristiano 
                continuò ad esistere nella sua sostanziale insignificanza, 
                mentre l'FMLN - trasformatosi esso pure nell'omonimo partito - 
                costituì per vent'anni il maggior partito di opposizione. 
                 
              Le 
                politiche neoliberiste 
              Il 
                ventennio dei governi di ARENA, si caratterizza come il tempo 
                in cui El Salvador è diventato una sorta di laboratorio 
                di tutte le politiche neoliberiste del pianeta. Non avendo rinunciato 
                gli USA a far valere la propria influenza su quello che sino all'avvento 
                di Obama fu considerato - senza nemmeno troppi misteri - "il 
                cortile di casa", lo trasformarono anzi in una sorta di terreno 
                di sperimentazione. Il paese era uscito distrutto dalla guerra... 
                e non soltanto dal punto di vista morale (da cui non si è 
                ancora ripreso), ma anche economico. La struttura feudale era 
                sì un ricordo del passato, ma gran parte del terreno era 
                ormai deforestata, quando non addirittura inadatta alle coltivazioni, 
                perché bombardata col napalm, come strategia di lotta antiguerrigliera. 
                Alle antiche 14 famiglie, poco alla volta, si sono sostituiti 
                nuovi gruppi finanziari, ancor più interessati ai propri 
                interessi che al bene del paese, di fatto svenduto al capitale 
                straniero (o misto-straniero) a colpi di privatizzazioni. Significativa 
                al riguardo è l'osservazione dell'analista Goitia: "Il 
                fatto che 5 gruppi imprenditoriali abbiano un attivo paragonabile 
                al PIL locale, significa che possono avere il controllo del disegno 
                delle politiche economiche del paese e della politica dello stato. 
                Inoltre, possono influire in maniera tale da evitare qualsiasi 
                possibilità d'accesso al potere da parte di partiti che 
                non li beneficino, così come la capacità di destabilizzare 
                l'economia nazionale". Tutto ciò nell'ambito di grandi 
                trattati internazionali: il Trattato di Libero Commercio (TLC) 
                con gli USA (1 marzo 2006) e ora, in via di definizione, l'Accordo 
                di Associazione (AdA) con l'Unione Europea.  
              Le 
                ripercussioni sociali 
              La 
                prima a farne le spese è stata l'economia reale. Oggi El 
                Salvador è un paese per nulla autosufficiente e si vede 
                costretto a comprare all'estero (Honduras, Guatemala e Nicaragua) 
                l'85% dei beni basilari: mais, riso, latte, fagioli. I latifondi 
                restano incolti, ma - per un eccesso di cerbero egoismo, accompagnato 
                da una buona dose di miopia sulla sostenibilità sociale 
                e quindi sulla sicurezza - non viene permesso ai contadini di 
                lavorarli, nemmeno per la propria sussistenza. D'altra parte, 
                anche quando sono affittuari o proprietari di piccoli appezzamenti, 
                proprio i contadini risultano i più colpiti dal TLC con 
                gli USA, che, abbattendo i dazi doganali, li ha resi vittime di 
                un'insostenibile concorrenza con le grandi transazionali del settore. 
                Non solo, ma la clausola concernente l'obbligo d'utilizzo di sementi 
                certificate, li costringe ad abbandonare le cosiddette "sementi 
                native" (di loro proprietà e selezionate nel corso 
                di generazioni), per comprare OGM (i soli certificati) e i relativi 
                fertilizzanti e pesticidi: una spesa insostenibile. A peggiorare 
                ulteriormente la situazione si aggiunge l'imposizione generalizzata 
                di "diritti intellettuali" a tutta una serie di piante 
                (così come si trovano in natura!) che, usate da secoli, 
                vengono ora proibite alla popolazione. Come se ciò non 
                bastasse, il Colon, la moneta nazionale - introvabile - è 
                stato "ancorato" al Dollaro USA, con un cambio di 1$ 
                a 8.75C, facendo esplodere l'inflazione e riducendo il potere 
                d'acquisto, con l'inevitabile decrescita della già poca 
                produzione industriale e del commercio. La conseguenza più 
                evidente e inevitabile - soprattutto nell'ambito dell'attuale 
                crisi internazionale - è l'impennata degli indici di disoccupazione, 
                che hanno registrato una perdita di 7000 posti di lavoro nell'ultimo 
                anno. A sopravvivere senza apparenti problemi, anzi a imperversare, 
                sono invece le "maquilas", fabbriche di assemblaggio 
                a capitale straniero (nordamericano e asiatico), costruite su 
                terreni dichiarati "zona franca internazionale" e perciò 
                esenti da obblighi fiscali, oltre ad essere debitamente preservate 
                da tutta una serie di vincoli legislativi e sindacali. La situazione 
                è però ai limiti del possibile anche per quanti 
                riescono ancora a conservare la propria occupazione. Lo dimostra 
                il risibile salario minimo dell'industria (203,10 dollari), del 
                commercio e dei servizi (207,60 dollari) e - appunto - della maquila 
                (173,70 dollari) che riescono sì a coprire il prezzo del 
                paniere alimentare, attestato su 168,40 dollari, senza però 
                coprire il costo medio della vita, il cui prezzo è di 762,78 
                dollari. Gran parte della popolazione vive quindi delle "rimesse", 
                che i migranti mandano mensilmente alle famiglie in patria. Fino 
                ad ora la cifra ha costituito un'entrata significativa, se si 
                considera che per circa 6 milioni di abitanti in patria, ve ne 
                sono quasi 3 all'estero, che inviano sotto forma di rimesse ca. 
                il 18% del PIL, mentre il loro contributo complessivo alla ricchezza 
                nazionale corrisponde al 30-35% dello stesso PIL. Adesso però 
                questi numeri sono suscettibili di seri ridimensionamenti: se, 
                infatti, secondo fonti del Banco Centrale di Riserva, nell'ottobre 
                2007 erano arrivati 323,8 milioni di dollari, nel febbraio 2009 
                soltanto 275,1 (l'8,1% in meno rispetto allo stesso periodo dell'anno 
                precedente) e si calcola che l'invio complessivo nel corso del 
                2009 si ridurrà tra i 200 e i 250 milioni di dollari, il 
                che rappresenta una decrescita del 6 - 8%, rispetto al 2008. Una 
                situazione che inciderà ancor più negativamente 
                sul potere d'acquisto e spingerà molti a cercare una compensazione 
                nel lavoro nero o nelle fila della migrazione. Quotidianamente 
                lasciano già il paese circa 600 persone, molte delle quali 
                non giungono però a destinazione, perché - dirette 
                negli USA - vengono fermate alla frontiera del Guatemala col Messico 
                o nel tentativo di superare il "muro", eretto per centinaia 
                di chilometri sulla frontiera statunitense. Inoltre, due voli 
                settimanali rimpatriano forzatamente dagli USA quei cittadini 
                salvadoregni che vengono trovati senza permesso di soggiorno. 
                Molti di loro ritenteranno l'impresa, ma con sempre minori prospettive, 
                considerando che USA ed Europa non prevedono una soluzione rapida 
                della crisi che le attanaglia. Ciò nonostante, alcuni cittadini 
                centroamericani saranno comunque "costretti" a migrare 
                dalle politiche dei loro governi: sono le popolazioni di quei 
                villaggi che sorgono su terreni amplissimi per cui i governi hanno 
                concesso licenza, a ditte nordamericane, di scavare miniere a 
                cielo aperto o, nel caso di El Salvador, su cui il governo precedente 
                aveva già avviato i lavori per la realizzazione di grandi 
                dighe idroelettriche. Da più parti si chiede ora all'attuale 
                governo una politica di rigore per revocare tali concessioni e 
                annullare i progetti in atto. A tale proposito è da segnalare 
                la significativa presa di posizione del neoeletto arcivescovo 
                di San Salvador, Mons. José Luis Escobar Alas, che ha rivolto 
                un pubblico appello per la salvaguardia dell'ambiente e delle 
                popolazioni che abitano quelle zone, nel suo discorso ufficiale 
                di insediamento come prelato capitolino. Ma la sfida più 
                grande e immediata che attende il governo del presidente Funes 
                è la ricostruzione - ex-novo - del settore sanitario. Dopo, 
                infatti, un tentativo fallito di privatizzare l'intera istituzione 
                tra il 2002 e il 2003, da parte del gabinetto dell'allora presidente 
                Flores (che se avesse raggiunto lo scopo avrebbe lasciato un buon 
                80% di salvadoregni senza il minimo di assistenza sanitaria), 
                oggi il sistema è comunque a pezzi. Per quanto i medici 
                lavorino eroicamente, in situazioni impensabili, gli ospedali 
                sono ormai privi di farmaci e in tutto il paese sono pochissimi 
                quelli che possono permettersi di acquistarli... anche perché 
                (curiosamente!) nella lista dei prodotti contemplati dal TLC i 
                farmaci generici non compaiono. Si capisce allora perché 
                - a fronte di tale situazione - suonino a beffa i grandi centri 
                commerciali e le lussuose banche, che sorgono come funghi in tutto 
                il paese e sembrano giustificare i peggiori sospetti quanto alla 
                loro vera ragione. E soprattutto, si capisce perché El 
                Salvador si riveli percentualmente il paese più violento 
                di tutta l'America Latina. La cifra annuale degli omicidi nel 
                2006 era stata, infatti, di 3.761 (su una popolazione di ca. 6 
                milioni), vale a dire con una media di 10,3 assassini al giorno, 
                in un fazzoletto di terra più piccolo della Lombardia. 
                E se i dati relativi al 2007 e al 2008 furono appena inferiori, 
                nel gennaio 2009 si è registrata un'impennata del 300% 
                rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, complice la 
                campagna elettorale. Una volta insediato il nuovo governo, la 
                situazione si è leggermente ridimensionata, ma su cifre 
                comunque superiori a quelle degli anni precedenti. Ciò 
                naturalmente preoccupa molto ma non stupisce gli osservatori più 
                attenti. Se da un lato, infatti, non era realistico sperare che 
                un potere oligarchico-militare di lunga tradizione passasse tranquillamente 
                la mano senza colpi di coda; dall'altro, non dimentichiamo che 
                appena due anni fa, nel febbraio 2007, El Salvador si era meritato 
                un richiamo dal "Gruppo di Lavoro sulle Scomparse Forzate" 
                dell'ONU, per la ripresa di quest'odioso crimine, soprattutto 
                a danno dei leader sindacali. La situazione di violenza generalizzata 
                aveva inoltre costituito uno dei "cavalli di battagliata" 
                degli ultimi due esecutivi di ARENA, che avevano sfruttato (e 
                incrementato) l'occasione per fomentare quella che noi chiameremmo 
                "strategia della tensione" e promulgare speciali leggi 
                repressive ("Ley de la Mano Dura" e della "Super-mano 
                Dura") per reprimere, con la scusa della lotta al crimine, 
                ogni forma di dissenso e opposizione. 
              Il 
                nuovo governo 
              E' 
                in tale situazione che il 15 marzo 2009 i salvadoregni hanno eletto 
                come loro presidente Mauricio Funes, un buon intellettuale e onesto 
                giornalista, amatissimo dalla gente, che per lui aveva già 
                rivoluzionato gli indici d'ascolto televisivi, alcuni anni fa. 
                Quando, infatti, era stato licenziato (per motivi intuibili) da 
                uno dei principali network centroamericani e aveva accettato l'offerta 
                di una piccola trasmittente agli esordi, questa - in pochi mesi 
                e grazie ai suoi programmi d'indagine - era diventata il canale 
                più seguito nel paese. D'altra parte, nemmeno i ricchi 
                questa volta si erano compattati nelle fila di ARENA. La lotta 
                per l'investitura aveva finalmente fatto esplodere le rivalità 
                tradizionali tra i diversi gruppi impresariali: finanzieri, latifondisti 
                e industriali... alcuni dei quali, dopo un fallito tentativo di 
                creare una forza intermedia, sono confluiti nelle fila di Funes. 
                E' tenendo conto della complessità di questi fattori che 
                il nuovo presidente ha composto il suo gabinetto "di unità 
                nazionale", nel quale ha voluto che fossero rappresentate 
                tutte le componenti sociali, ma al quale - non di meno - ha impresso 
                da subito una rigorosa politica di equità sociale, in coerenza 
                con quella opzione irrinunciabile per i poveri che aveva annunciato. 
               
                  
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