| Parlare 
                di "crisi della famiglia" è diventato uno dei 
                tanti luoghi comuni del nostro tempo, ma a me, pellegrino per 
                le case della città a portare la benedizione di Dio in 
                questo Avvento ambrosiano, la realtà appare diversa: la 
                società non è un covo di lupi e la famiglia è 
                ancora una bella notizia! E' questo il Giubileo che Dio celebra 
                con gli uomini e le donne del nostro tempo.Sia chiaro: non voglio farne una questione di numeri; non ho simpatia 
                per loro fin dai tempi del liceo, e
 dei numeri del Giubileo 
                ne abbiamo piena la testa. So anche, e bene, che oggi si consumano 
                molti divorzi, ma questo non è ancora sufficiente per affermare 
                trionfanti che "una volta le cose andavano meglio": 
                basta infatti restare un poco seduti nel confessionale per accorgersi 
                di quanti matrimoni sono stati "strascinati" fino alla 
                fine a costo di indicibili sacrifici e soprusi; sacrifici che 
                non possiamo nemmeno chiamare "croce" perché 
                senza amore: non la fedeltà al sacramento o a Dio, ma le 
                convenzioni sociali, i divieti giuridici e le necessità 
                pratiche li hanno indotti. Ma questa è solo una faccia, 
                quella triste, della luna.
 Passando di casa in casa, bussando alle diverse porte, si aprono 
                invece scenari inimmaginabili. Ancora a distanza di anni alcune 
                di queste storie le porto nel cuore: come non commuoversi e non 
                credere che Dio si stia prendendo una grande rivincita sull'egoismo 
                del Sistema quando incontri persone che sanno affrontare con amore 
                eroico situazioni al limite dell'impossibile? Come non ricordare 
                quella donna cinquantenne con le ossa stanche, che, da venticinque 
                anni - al terzo piano senza ascensore - si prende cura della figlia 
                paralizzata e autistica, mentre da dieci assiste - due piani sotto 
                - la vecchia madre demente. La ricordo sorridente e grata a Dio 
                per averle dato un buon marito che la sa aiutare e tanta forza 
                di vivere. Ricordo una giovane coppia che, appena sposata, scopre 
                di il bisogno di riversare sugli altri l'abbondanza di questo 
                amore e mi chiede un consiglio. Celebro il matrimonio di due amici: 
                lui non è credente ma vuole compiere con serietà 
                questo atto d'amore nel modo che più possa essere un dono 
                per la sua fidanzata che crede. Non hanno bisogno di regali, la 
                casa è già sobriamente pronta e chiedono a tutti, 
                amici e parenti, che ogni dono sia indirizzato alle comunità 
                profughe del Chiapas. E ancora una coppia, non più giovane, 
                si fa carico dei figli della domestica immigrata da un altro continente 
                e incapace di curarsi di loro. Incontro tante famiglie che vivono 
                con fatica e serenità l'esistenza di ogni giorno nella 
                più comune quotidianità: lavoro, casa, scuola, tempo 
                libero
 e i tempi dell'uno diventano quelli dell'altro. I 
                bambini sognano il futuro modellandolo sul presente dei genitori 
                mentre gli adulti, nei passi già conosciuti dei figli, 
                rigenerano la loro giovinezza. Incontro giovani forse un po' troppo 
                "mammoni" e insicuri e genitori davvero apprensivi. 
                Guardo e capisco che sono storie vere, reali, che convivono in 
                mezzo a tanti disastri e hanno un potenziale benefico per tutti. 
                Guardo e scopro che la famiglia è ancora un crocevia di 
                relazioni: paternità-maternità e fraternità, 
                che diventano paradigma di altre comunità sociali. A partire 
                da questa primordiale esperienza parliamo di "umana famiglia" 
                e il Concilio Vaticano II ha definito la famiglia "piccola 
                Chiesa domestica", e quindi la Chiesa è vera Chiesa 
                di Cristo, icona della famiglia trinitaria solo se sa riprodurre, 
                e vivere al suo interno, su scala universale, le dinamiche proprie 
                della famiglia. Famiglia perché una comunità di 
                persone, qualunque sia la loro relazione, sa creare al proprio 
                interno quel clima di accettazione e fiducia, amore e servizio, 
                necessario perché ognuno possa sentirsi accolto e amato, 
                curato e incoraggiato per realizzare quello che nel più 
                profondo del suo mistero personale già è. Famiglie 
                come la locanda del buon samaritano dove ci si china gli uni sugli 
                altri per aiutarsi a vicenda a realizzare i propri sogni e a sanare 
                le ferite. Famiglie perché al loro interno si fa esperienza 
                di un amore solidale e liberatore, originale e coraggioso che 
                a volte va oltre ogni immaginazione. E per chi sa fare tesoro 
                dell'ammonimento di papa Giovanni XXIII a "scorgere i segni 
                dei tempi" con cuore aperto e la mente libera da pregiudizi, 
                le scoperte non sono davvero finite. Quando mi sento arrivato, 
                in cima al palazzo, perché l'ascensore oltre non va, mi 
                accorgo che le scale salgono ancora. C'è la mansarda e 
                in questa abitano quattro ragazzi: noi li chiamiamo "viados". 
                Il primo lo incontro per caso: sta uscendo con un vecchio libro 
                di preghiere per andare nella parrocchia vicina a fare la sua 
                visita quotidiana. Sarà lui a presentarmi gli altri e a 
                mostrarmi la casa. Per un attimo non credo ai miei occhi: in due 
                stanze rivedo una scena della mia infanzia, che da anni avevo 
                scordato: un "altarino" per stanza, di quelli che avevano 
                le nostre nonne, con i quadri del Sacro Cuore e della Madonna, 
                una serie di immagini sacre brasiliane e alcune candele. Allora 
                iniziamo a parlare e mi raccontano dei loro problemi, della religiosità 
                popolare brasiliana, delle umiliazioni, delle violenze continue, 
                del prendersi cura gli uni degli altri e del consolarsi a vicenda 
                nella loro casa. Io ascolto e mi dico "questa è davvero 
                una famiglia su cui scende la benedizione di Dio". Può 
                darsi che qualche benpensante o qualche puritano del diritto inorridisca 
                per l'attribuzione di un termine "sacro" come famiglia 
                a questi ragazzi, ma - con buona pace di loro - siamo ancora in 
                tanti a pensare con l'apostolo Giovanni e la liturgia che "dov'è 
                carità e amore, lì c'è Dio" (cfr. 1Gv 
                4,12). E Dio non finisce di stupirci con le "sue famiglie" 
                e l'amore che ancora fa germogliare coi fiori diversi delle nostre 
                città. Ormai è scesa la sera, vado di fretta perché 
                la Messa delle diciotto non può aspettare. Suono uno degli 
                ultimi campanelli
 ancora poche famiglie. Mi accoglie un 
                giovane gentile e subito mi accorgo che anche questa è 
                una famiglia "diversa". Mi spiega che è mussulmano 
                e in effetti il suo volto rivela che - come si dice - è 
                "extra-comunitario", ma il suo amico è italiano 
                e cristiano quindi ben volentieri fa benedire la casa in onore 
                del suo amico. Siamo anche d'accordo che il Dio di Abramo è 
                comune alle nostre religioni per cui possiamo pregare insieme. 
                Al termine mi mostra un quadro, con una scritta ricamata in arabo, 
                ed un crocifisso con un rametto di ulivo e mi dice: "qui 
                stanno insieme il mio Corano e il Gesù del mio amico"; 
                e intanto mi offre qualcosa per i "poveri della Chiesa". 
                Lo saluto commosso
 sul pianerottolo ho il cuore che scoppia 
                e in testa una tempesta di idee: penso a quanto si dice sugli 
                "extra-comunitari", alle parole di qualche prelato sui 
                mussulmani
 ma soprattutto ripenso e contemplo stupito l'opera 
                di Dio. Mentre le gerarchie di tutte le chiese faticano a coltivare 
                l'Ecumenismo, Dio lo sta realizzando con i nuovi samaritani, con 
                i "peccatori" di oggi, ai margini della storia ufficiale. 
                Ricordo l'ironia con cui l'evangelista Giovanni tratta i sacerdoti 
                e Pilato, davanti ai quali si compie il progetto di Dio senza 
                che essi se ne rendano conto
 cosi anche oggi: mentre noi 
                discutiamo, Dio convoca nella povertà delle vecchie case-ringhiera 
                la grande famiglia ecumenica. Finalmente sono per la strada, vedo 
                le luci delle case nella sera
 è il momento del ritorno, 
                della festa dell'incontro: nel cuore di un sistema economico fondato 
                sull'interesse privato e l'egoismo, sono centinaia, migliaia i 
                focolari dove si forgia una bella notizia capace di rigenerare 
                l'umanità. Guardo con occhi nuovi la mia città e 
                le sue famiglie: davvero non sono un covo di lupi, ma se il partito 
                dei "profeti di sventura" si ostina a chiamarle cosi, 
                allora
 voglio ballare coi lupi!
 Alberto 
                Vitali  
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