| Nell'ambito 
                della riflessione teologica sul Giubileo credo sia importante 
                non limitarsi alla sola ricostruzione, per quanto necessaria e 
                meritoria, delle sue radici bibliche, ma tentare una rilettura 
                cristologica, che dia ragione della sua celebrazione al cristiano 
                del terzo millennio. Coerentemente al metodo teologico che vuole 
                la persona di Gesù di Nazareth, nella sua singolarità 
                storica, il principio costitutivo della nostra fede, e la nostra 
                conformazione a lui quale essenza della sequela, è necessario 
                superare una concezione del Giubileo puramente liturgica o legata 
                alla prassi, per riconoscere che Gesù non è semplicemente 
                venuto a proclamare il Giubileo - "l'Anno di Grazia" 
                (Lc 4, 19) - ma Egli stesso è il Giubileo. Per far questo 
                dobbiamo anzitutto evidenziare come le motivazioni originali che 
                portarono nel corso dell'Antico Testamento all'istituzione dell'anno 
                giubilare, nel solco della tradizione sabbatica, siano in realtà 
                le stesse che caratterizzano la proclamazione del Regno di Dio 
                da parte di Gesù. Regno che, alla luce della Pasqua, si 
                identifica con la sua persona. Negli 
                scritti dell'Antico Testamento, la tradizione del giorno di sabato, 
                dell'anno sabbatico, e dell'anno giubilare, rivela l'esigenza 
                di proteggere la vita del clan dall'eccessivo sfruttamento, dalla 
                concentrazione della terra e dall'accumulo della ricchezza, e 
                porre un limite preciso ad ogni schiavitù per debiti. Questa 
                tradizione esige una rottura storica che permette alla terra e 
                alle persone di recuperare la loro libertà. Nella logica 
                di questa tradizione, la terra e le persone appartengono solamente 
                a Dio e nessuno può appropriarsene in modo illimitato e 
                ingiusto.  Il 
                termine "Giubileo" deriva dal latino "iubilaeus", 
                preso a sua volta dall'ebraico "Yobel". Yobel significava 
                in origine "ariete", il cui corno veniva usato come 
                tromba per annunciare l'anno del Giubileo. Passò quindi 
                a identificare il corno-strumento; infine significò direttamente 
                giubilo o Giubileo. Esprimeva cioè l'allegria della terra, 
                degli schiavi e degli sfruttati in generale, quando si suonava 
                il corno e si annunciava un anno sabbatico o giubilare. Questo 
                tocco del corno era, certamente, una disgrazia per gli oppressori 
                del popolo, che "perdevano" i loro schiavi e tutte le 
                loro proprietà strappate al popolo che non poteva pagare 
                i tributi e i debiti.  Il 
                sabato, l'anno sabbatico e l'anno giubilare, esprimono quindi 
                il potere di Dio e la sua volontà liberatrice, che interviene 
                nella nostra storia, nel tempo e nello spazio, in favore dei poveri, 
                degli indebitati, degli schiavi, degli schiacciati e dei falliti 
                per le strutture della dominazione.  Leggendo 
                il testo di Is 61 nella sinagoga di Nazareth, e riferendolo alla 
                propria missione, Gesù si pone nel solco di questa tradizione 
                attribuendo a sé l'incarico di portarla a compimento. "Lo 
                Spirito del Signore sta sopra di me perché mi ha unto per evangelizzare i poveri,
 mi ha inviato per proclamare ai prigionieri libertà
 e ai ciechi il recupero della vista
 per inviare gli oppressi in libertà
 per proclamare un anno di grazia del Signore".
 Così 
                commenta questa pericope il teologo cileno Pablo Richard: "Lo 
                Spirito del Signore sta' sopra Gesù, proprio perché 
                è stato unto e inviato per compiere una missione. I verbi 
                "mi ha unto" e "mi ha inviato" stanno in parallelo. 
                Lo Spirito e l'unzione sono in funzione dell'invio. La finalità 
                "per" dell'unzione e dell'invio si esprime in quattro 
                frasi che iniziano con l'infinito:" evangelizzare, proclamare, 
                inviare e proclamare". Ogni frase è un azione. La 
                prima ("evangelizzare i poveri") è un annuncio 
                generico. La seconda frase è una proclamazione di due azioni: 
                proclamare libertà ai prigionieri e recuperare la vista 
                ai ciechi. La terza frase è già in se stessa un 
                azione :" inviare gli oppressi in libertà". Per 
                la seconda volta appare la parola libertà. Si invia (traduzione 
                letterale) in libertà "gli oppressi". Questo 
                termine ("tethraumeno") significa falliti, frustrati, 
                deboli, oppressi. La quarta frase è ancora generale: proclamazione 
                del "anno di grazia del Signore", che è chiaramente 
                l'anno del Giubileo. In Isaia si aggiungeva "giorno di vendetta 
                del nostro Dio", frase che Gesù (o Luca) omette. Eco 
                di questa citazione la incontriamo in Mt.11,2-6 e Lc.7,18-23. Gesù 
                è il messaggero, unto e inviato da Dio, portatore dello 
                Spirito, che annuncia la venuta del Regno nella ricostruzione 
                della vita del popolo oppresso. Gesù, continuando la tradizione 
                del Giubileo, identifica il Regno di Dio con la vita del popolo. 
                I gruppi nazionalisti e teocratici identificavano il Regno di 
                Dio con la restaurazione del Regno di Davide: restaurazione della 
                monarchia contro l'impero romano. I sacerdoti lo identificavano 
                con la restaurazione del Tempio di Gerusalemme. I farisei lo identificavano 
                con la santità del popolo che si otteneva mediante il pieno 
                compimento della legge. Gesù rifiuta tutto ciò e 
                identifica il Regno di Dio con la vita del popolo. Gesù, 
                nella tradizione dell'anno sabbatico e giubilare, proclama l'inizio 
                della sua missione, un anno di grazia, un Giubileo straordinario. 
                Il Regno di Dio inizia con l'annuncio del Giubileo. Unisce cosi 
                Regno di Dio e Giubileo" (P. Richard, "Ora è 
                tempo di proclamare un giubileo"). Gli 
                incontri, le parole, i gesti di Gesù saranno una continua 
                celebrazione del Giubileo realizzato nella prassi liberatrice 
                della sua missione. Così per Zaccheo, per la peccatrice 
                in casa di Simone, per il Centurione, per la Samaritana, per gli 
                indemoniati, per Marta e Maria
  Maria 
                di Nazareth riveste un ruolo di primo piano in questa azione, 
                lei che cantando con esultanza il Magnificat, sogna col cuore 
                stesso di Dio l'avverarsi di un mondo nuovo, inedito, utopico 
                - il cui principio sta incarnandosi nel suo ventre - dove per 
                volere divino "i progetti dei superbi sono rovinati, i potenti 
                sono rovesciati dai troni mentre gli umili vengono innalzati; 
                gli affamati sono colmati di beni e i ricchi rimandati a mani 
                vuote", tanto che "Donna del Giubileo" e "Madre 
                dell'Utopia" la possiamo chiamare.  Per 
                Gesù stesso gli incontri quotidiani sono occasione di Giubilo: 
                "In quello stesso istante Gesù esultò nello 
                Spirito Santo e disse: "Io ti rendo lode, Padre, Signore 
                del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti 
                e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli" (cfr. Luca 10,21). Ma 
                è l'apostolo Paolo, con la sua straordinaria capacità 
                di contemplare le profondità del mistero di Cristo, che 
                ci permette di giungere al giubilo stesso di Dio. Cristo è secondo l'apostolo l'archetipo della creazione:
 Egli 
                è immagine del Dio invisibile,generato prima di ogni creatura;
 poiché per mezzo di lui
 sono state create tutte le cose,
 quelle nei cieli e quelle sulla terra,
 quelle visibili e quelle invisibili:
 Tutte le cose sono state create
 per mezzo di lui e in vista di lui.
 Egli è prima di tutte le cose
 e tutte sussistono in lui.
 (Col 1,15-18)
 Se 
                dunque il mondo e l'uomo sono creati in Cristo è in Lui 
                che si esprime il Giubilo di Dio di fronte alla natura, "e 
                vide che era cosa buona", e all'uomo, "e vide che era 
                cosa molto buona" (cfr. Gn 1,31). Infine 
                l'apostolo riferendosi alla natura e alla prassi liberatrice del 
                Cristo ci indica pure quale deve essere la nostra attitudine per 
                celebrare in verità il Giubileo, cioè la nostra 
                configurazione in Lui: Abbiate 
                in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù,il quale, pur essendo di natura divina,
 non considerò un tesoro geloso
 la sua uguaglianza con Dio;
 ma spogliò se stesso,
 assumendo la condizione di servo
 e divenendo simile agli uomini;
 apparso in forma umana,
 umiliò se stesso
 facendosi obbediente fino alla morte
 e alla morte di croce.
 Per questo Dio l'ha esaltato
 e gli ha dato il nome
 che è al di sopra di ogni altro nome;
 perché nel nome di Gesù
 ogni ginocchio si pieghi
 nei cieli, sulla terra e sotto terra;
 e ogni lingua proclami
 che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.
 (Fil 2, 5-11)
 Per 
                celebrare in spirito e verità il Giubileo è dunque 
                necessario rivestirsi degli stessi sentimenti che furono del Signore 
                Gesù, continuando la sua pratica liberatrice nel mondo. 
                Ciò fonda una spiritualità, che da un lato non rischia 
                di scadere in alienante spiritualismo (la spiritualità 
                se non è incarnata è fumo), dall'altro non si riduce 
                a semplice filantropia, che potrebbe cedere sotto il peso della 
                quotidianità, ma diventa sorgente e strumento per edificare 
                il Regno di Dio. Solo così il Signore Gesù può 
                essere veramente la pienezza della nostra pace e della nostra 
                gioia. Alberto 
                Vitali 
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