Giulio Girardi
filosofo e teologo della liberazione

 


Debito estero del Sud o del Nord?

di Giulio Girardi

Attualità e centralizzazione del problema del "debito"

È urgente rompere il silenzio.

Fra il 10 e il 12 di luglio di quest'anno si è riunita a Caracas la conferenza internazionale "il debito estero e la fine del millennio" convocata dal parlamento Latino Americano e da quello del Venezuela. Quest'incontro, segnala Fidel Castro nel messaggio diretto alla conferenza, "rompe il silenzio di molti anni sul tema e spezza il mito che il debito sia un argomento della decade passata, carente di rilievo e attualità".
Il silenzio, al quale si riferisce Fidel, ha una doppia spiegazione. Da un lato, i poteri economici e politici dominanti hanno tutto l'interesse ad occultare un problema così esplosivo, che potrebbe essere la miccia di una mobilitazione nazionale e continentale. Senza dubbio, questo silenzio è eloquente. Il suo messaggio in codice è il seguente: dopo la caduta del muro di Berlino, il debito estero ha cessato di essere un problema; in termini generali, ha smesso di avere validità ogni discussione sulla dipendenza del sud, la quale s'impone come irreversibile.
D'altra parte molti movimenti popolari hanno interiorizzato questo messaggio della cultura dominante, sono diventati "realisti" e ora non si azzardano a sollevare problemi di fronte ai quali si sentono impotenti, come sono i problemi del debito, della alternativa al sistema capitalista, della sovranità nazionale, della unità continentale, del conflitto Nord-Sud, dell'imperialismo. Quando un problema sembra insolubile, la cosa più facile è agire come se non esistesse, come se appartenesse al passato. Allora, il silenzio che stiamo denunciando non è solo quello della grande stampa e della politica ufficiale, ma anche quello delle organizzazioni popolari indigene e negre.
La nostra riflessione pretende di contribuire a rompere il silenzio sul problema, riaffermando la sua centralità e attualità. Con questo obiettivo, prenderemo come punto di partenza non i dibattiti ideologici, ma la sofferenza e il lamento del popolo povero che sente nella propria carne, tutti i giorni e tutte le notti, quello che è realmente il dissanguamento provocato dal debito. In questo contesto, affermare che il debito ha cessato di essere un problema, significa pretendere che la vita e la morte del popolo hanno cessato di essere un problema. Affermare che il pagamento del debito è inevitabile significa riconoscere che il trionfo della morte è definitivo.
Così la protesta del popolo rompe il silenzio della politica ufficiale. Questa è la protesta che vogliamo ascoltare, che ispirerà la nostra analisi e la valutazione del "debito" e la nostra mobilitazione per spezzare questa catena.

IL DEBITO ESTERO NEL PROCESSO DI GLOBALIZZAZIONE NEOLIBERALE E NEL CONFLITTO NORD-SUD

Per comprendere la natura, gravità e difficoltà del problema del debito, si deve ubicarlo nel contesto della globalizzazione del conflitto Nord-Sud. La globalizzazione neoliberale è il processo di unificazione del mondo, fondato sulla unificazione dei mercati. Non è propriamente, come si pretende alle volte, la instaurazione delle relazioni di interdipendenza, ma di dipendenza unilaterale o neocoloniale, caratterizzata da una crescente concentrazione del denaro e del potere e per la dominazione del capitale finanziario transnazionale. Ora, il debito estero è esattamente il principale meccanismo con il quale si realizza l'unificazione fra le economie dei paesi del Terzo Mondo e quelle del Primo Mondo in termini di dipendenza e subordinazione.
L'ideologia dominante neoliberale afferma che le leggi economiche sono obiettive e deterministiche e che pertanto il sistema capitalista non ha alternative. Ora, il meccanismo del debito sta strettamente vincolato alla logica del capitalismo neoliberale. Pertanto, se il capitalismo non ha alternative, tanto meno ne ha il debito.
Allora, il problema del debito estero ha la stessa centralità e attualità del conflitto Nord-Sud . Costituisce poi la catena con la quale il Nord continua schiavizzare e spogliare il Sud. Allora prendere partito contro il debito esterno è prendere partito nel conflitto Nord-Sud.
Senza dubbio, è importante sottolineare che quando si parla di questo conflitto, il Nord e il Sud non si intendono oggi in senso geografico, ma economico e politico. Fanno parte del Nord economico non solo gli otto paesi più industrializzati del mondo, ma anche gli organismi finanziari internazionali, come la banca mondiale e il Fondo Monetario Internazionale e le imprese transnazionali che geograficamente possono stare sia al Sud che al Nord; cosi come i grandi capitalisti che vivono nel Sud geografico. D'altro lato fanno parte del Sud economico le maggioranze popolari impoverite che vivono, o meglio sopravvivono, nel Nord geografico.
Allora analizzare e valutare il debito estero è una maniera molto concreta per analizzare e valutare la globalizzazione neoliberale dal punto di vista dei popoli oppressi del Terzo Mondo. Mobilizzarsi per spezzare la catena del debito è la maniera più concreta per trovare un'alternativa popolare alla globalizzazione imperialista neoliberale.

IL PUNTO DI VISTA DEGLI OPPRESSI RIBELLI

Nello studio del problema del debito, vogliamo ripercorrere le tappe definite dalla metodologia dell'educazione popolare liberatrice e della teologia della liberazione: vedere, giudicare e agire. Senza dubbio ubicando questo tema nel cuore del conflitto Nord-Sud stiamo affermando che la sua analisi e valutazione non sono neutrali, ma dipendano dal punto di vista a partire dal quale si accosta: quello dei gruppi dominanti, più concretamente della borghesia transnazionale e quello dei popoli oppressi.
Una presa di coscienza massiccia della contrapposizione fra il punto di vista dei "Conquistadores" di ieri e di oggi e quello della resistenza indigena, negra e popolare si verificò attorno al quinto centenario dalla "Conquista": questa esplosione di coscienza marcò una svolta nella storia dei popoli indigeni e di tutto il continente indoafrolatinoamericano. I due punti di vista si scontrano non solo nella analisi e valutazione della conquista e della evangelizzazione, ma anche nella interpretazione di tutta la storia, le culture, le religioni e il cristianesimo.
Allora la nostra focalizzazione del problema del debito non sarà neutrale. Lo affronteremo dal punto di vista dei popoli oppressi, particolarmente degli indigeni, che assurgono alla coscienza e alla dignità di soggetti storici. Il riferimento agli oppressi "come soggetti" è essenziale. Perché gli oppressi sono vittime non solo della dominazione economica e politica ma anche della dominazione culturale. Come dire che essi giungono ad identificarsi con l'oppressore, a interiorizzare le sue idee e valori, per esempio sul tema del debito estero, la globalizzazione, il liberalismo, etc. Allora il punto di vista degli oppressi sottomessi coincide con quello dell'oppressore, non rappresenta un pensiero alternativo.
In cambio gli oppressi assumono un punto di vista autonomo antagonista e alternativo nel momento in cui prendono coscienza della loro condizione di oppressione, si ribellano ad essa, respingono le idee e i valori della cultura dominante, rivendicano il diritto a pensare autonomamente.
Noi assumiamo il punto di vista degli oppressi ribelli, perché la loro messa a fuoco non è solo più giusta eticamente e politicamente, ma anche più veritiera e più feconda culturalmente che il punto di vista dominante. Perché gli oppressi hanno interesse a scoprire e manifestare la verità, che è la loro miglior alleata, a smascherare la violenza che caratterizza il sistema e la menzogna che lo ricopre, affermando l'identità e i diritti di ogni persona e di ogni popolo. In cambio i gruppi dominanti non riescono a conoscere ne a riconoscere l'altro come altro, perché non gli interessa; quello che cercano è sottometterlo e sfruttarlo. Per questo Cristoforo Colombo in realtà non scopri l'America: il suo punto di vista era quello del conquistatore e sfruttatore. Inoltre i gruppi dominanti hanno interesse a occultare la violenza della quale sono responsabili e per tanto propongono un immagine mistificata e invertita della realtà.
Senza dubbio l'ideologia liberaldemocratica domina realmente a livello mondiale la cultura e l'educazione e penetra inconsciamente nell'animo della persone. Pertanto assumere il punto di vista degli oppressi suppone per ogni persona una rottura con la cultura che ha orientato la sua educazione; suppone, in altre parole, una certa rivoluzione culturale.
Affrontando il problema del debito dal punto di vista dei popoli oppressi, dobbiamo rintracciare la stessa formulazione del problema in questi termini: debito estero del Sud o del Nord? In questa ricerca ci riferiremo spesso al punto di vista della resistenza indigena negra e popolare, espressa particolarmente nei documenti continentali prodotti in occasione del quinto centenario. Ponendo l'espressione debito estero del Sud tra virgolette, vogliamo porre in dubbio da principio l'esistenza stessa di questo supposto debito.

I - COS' E' IL "DEBITO ESTERO" DEL SUD?

Vogliamo in primo luogo riflettere sul supposto debito estero del Sud e più precisamente dell'America latina. Per comprendere in cosa consiste il debito vogliamo conoscere per prima cosa il suo importo attuale, poi chiederci qual è la sua origine e qual è il suo impatto sulla vita delle popolazioni.

Ammontare del "debito estero" dell'America Latina

Uno dei calcoli più recenti dell'ammontare del debito estero dell'America Latina è quello che propone Fidel Castro nel suo messaggio all'incontro continentale, che stiamo citando:
"Alla fine del 1996 il debito estero dell'America Latina raggiunse la somma di 607 mila 230 milioni di dollari. Solamente tra il 1995 e 1996 il debito crebbe di 73 mila 794 milioni. Però più significativo è anche il fatto che, prendendo in considerazione solo a partire dallo scoppio della crisi del debito estero nel 1982 fino all'anno scorso, l'America Latina ha pagato per gli interessi del suo debito 739 mila 900 milioni di dollari come dire una cifra maggiore del 18% del debito totale accumulato.
C'è qui un'espressione in più del processo di dissanguamento che sta soffrendo la regione durante la decade e mezzo di sottomissione alla logica assurda di un debito che agisce come freno decisivo di qualsiasi possibilità di sviluppo economico e sociale e che ha le sue radici più profonde nell'essenziale iniquità dell'attuale ordine economico mondiale…"
"Il debito estero della regione ha cambiato qualche aspetto però la suzione che provoca il debito continua e inoltre aumenta. Se tra il 1986 e 1988 l'America Latina pagò 53.000 milioni di dollari annuali per l'interesse del suo debito estero, tra il 1991 e il1996 questa cifra si alzò in media di 86.000 milioni di dollari annuali. Il pagamento degli interessi del debito ha compromesso di nuovo il 30% delle entrate per esportazione della regione…
L'enorme cifra di 739.900 milioni di dollari consegnati dalla regione ai suoi creditori tra il 1982 e il 1986 solo per vedere duplicarsi il suo debito in questo stesso periodo fino a superare 600.000 milioni di dollari è una chiara espressione del significato del debito estero come ostacolo incompatibile con lo sviluppo e l'indipendenza stessa dei paesi dell'America Latina.
E' evidente che se l'America Latina avesse dedicato al suo proprio sviluppo economico e a finanziare programmi sociali solamente la metà di questa somma colossale consegnata ai creditori negli ultimi 15 anni, la triste realtà di povertà, emarginazione, ineguaglianza e abbandono potrebbe essere diversa".
Quello di cui si tratta, cioè di cifre inimmaginabili, ci permette di avere un'intuizione anche emotiva delle dimensioni enormi e tragiche del carico che pesa sopra i nostri popoli e del problema che vogliamo porre.

Origine del "debito estero" dell'America Latina come problema di vita e di morte
Ciò che ci interessa non è solo conoscere l'origine dell'indebitamento dell'America Latina come fenomeno particolare, ma anche e soprattutto comprendere perché e come questo fenomeno giunse a occupare il posto centrale nella vita economica e politica del continente e a rappresentare il più drammatico dei suoi problemi.
In questa ricerca, si impone prima di tutto una presa di partito tra le spiegazioni congiunturali, che relazionano il debito con una crisi transitoria e le spiegazioni strutturali che cercano le loro radici nell'organizzazione politica ed economica del mondo e nel modello economico vigente in ogni paese. Evidentemente queste due spiegazioni orientano in direzioni molto diverse la soluzione del problema.
Noi percepiamo l'origine dell'indebitamento nelle strutture politiche ed economiche internazionali del capitalismo: il problema del debito non sorge in ultima analisi dal debito stesso, ma dal modello economico che lo genera. La sua remota origine sta nelle relazioni strutturali di dipendenza; e la sua origine prossima si ubica nel momento in cui il debito incomincia a rappresentare un carico insopportabile e un fattore fondamentale dell'economia del paese.
Una ragione importante dell'indebitamento è per i paesi dell'America Latina il deterioramento dei termini dell'intercambio: i prodotti che essi esportano si abbassano di prezzo e quelli che importano aumentano. Allora l'indebitamento si rende necessario per mantenere o aumentare il livello di consumo. Adesso, il deterioramento dei termini dell'intercambio si deve essenzialmente alla dipendenza commerciale dei paesi dell'America Latina, rispetto ai paesi industrializzati del Nord. Dipendenza che è una delle forme con cui la conquista si prolunga dopo "l'indipendenza" politica. In altre parole, l'indebitamento dei paesi ex coloniali è un prolungamento della violenza originaria che ha distrutto la sua autonomia e le ha imposto una condizione di dipendenza politica ed economica.
Il pagamento del debito incomincia a rappresentare un problema nuovo e drammatico per l'America Latina a partire dal momento in cui la sua crescita raggiunge un ritmo vertiginoso rispetto all'esportazione dei beni, rendendo impossibile la sua ammortizzazione per l'economia del paese, rendendo ogni volta più difficile il pagamento degli interessi e determinando la politica economica globale.
Gli economisti differiscono nel determinare precisamente la data di questa svolta: alcuni la ubicano negli anni cinquanta altri nei settanta. In ogni modo queste due date corrispondono a due momenti cruciali nell'espansione capitalista: ed è molto significativa questa coincidenza tra espansione capitalista e accrescimento vertiginoso del debito. Gli anni 50 sono quelli dell'internazionalizzazione del mercato capitalista, sotto l'egemonia nordamericana. Gli anni 70 sono quelli della transnazionalizzazione del mercato, che va collocandosi più in là del controllo nazionale e internazionale.
Con la transnazionalizzazione dei mercati coincide la "monetizzazione dell'economia" come dire il prevalere del capitale finanziario sul capitale produttivo. I grandi gruppi economici che nel periodo dell'internazionalizzazione del mercato (anni'50 e '60) hanno accumulato enormi guadagni, cercano l'investimento più redditizio dei loro capitali: e scoprono che la cosa più redditizia non è l'investimento produttivo ma quello finanziario o speculativo. Allora l'obiettivo prioritario del capitalista non è incrementare la produttività della sua impresa ma aumentare il rendimento finanziario del suo capitale.
Così il capitale finanziario, rappresentato specialmente dalle grandi banche, prende il potere sul mercato e sull'insieme della società. Il denaro è riconosciuto e adorato come Dio. La monetizzazione del mercato aumenta la sua autonomia rispetto alle esigenze generali del paese e particolarmente alle necessità delle grandi maggioranze. Aumenta nello stesso tempo il suo influsso determinante sulle politiche nazionali e internazionali. La "stabilità" di un paese e del mondo si definisce per la sua capacità di creare e salvaguardare le condizioni che permettano l'accumulazione illimitata di denaro.
In questo contesto, i prestiti con alti tassi di interesse (fino al 20%) si impongono come uno degli investimenti più redditizi. Allora essi rispondono per prima cosa agli interessi del capitale e solo secondariamente a quelli del paese in sviluppo. Sorge così il fenomeno dell'indebitamento. Spinto dalla sua fame insaziabile di guadagno e di potere, il capitale impone interessi ogni volta più da usurai.
Si verifica inoltre un'evoluzione negli obiettivi dei prestiti. Se in una prima fase i prestiti dovevano finanziare iniziative produttive, come la costruzione di infrastrutture economiche o altri progetti di sviluppo, progressivamente essi si orientano verso obiettivi più redditizi, come sono gli investimenti finanziari. I prestiti arrivano ad essere soprattutto una risorsa per pagare gli interessi del debito: risorse per lo più insufficienti perché i debitori più pagano e più si ritrovano indebitati.
Così l'indebitamento, che era nato come un aiuto allo sviluppo di un paese, si converte, per la stessa logica del capitalismo, nel principale ostacolo allo sviluppo stesso.
Voglio inoltre proporre, sull'evoluzione della crisi del debito, un'ipotesi che non ho potuto verificare, ma che mi sembra chiarificatrice: la mondializzazione dei mercati è un nuovo fattore di aggravamento della crisi. Per quale ragione? Il crollo del comunismo europeo e la fine della guerra fredda liberano il neoliberalismo dalle residue preoccupazioni sociali che lo frenavano nell'applicazione cinicamente conseguente dei suoi principi. Il trionfo sul comunismo ha aumentato l'arroganza del capitalismo in tutti i campi. È più che probabile che questa stessa attitudine si manifesti nella rinegoziazione del "debito".
Per comprendere più profondamente la natura del "debito" e la sua consistenza giuridica e morale, è essenziale sapere da un lato chi la contrasse e al servizio di quali interessi; e dall'altro chi dovrà pagarlo. Ora nella maggioranza dei casi, i prestiti furono contratti da governi o da imprese private al margine della volontà del popolo; furono contratti non per sopperire alla necessità della grande maggioranza, ma per favorire gli interessi di minoranze privilegiate (dirigenti politici, imprese nazionali o estere ecc.) che si affrettavano a depositare i loro capitali in banche straniere; così pure servirono i prestiti per comprare le armi e per aggravare la repressione violenta dei movimenti popolari. Ora questi stessi popoli che non furono beneficiari ma vittime dei prestiti dovranno pagarlo con il loro sangue.
L'interpretazione dell'origine del debito che cerchiamo di proporre, intende esprimere, come tutto il nostro mettere a fuoco, il punto di vista delle vittime. Per tanto, l'ideologia dominante la respinge e propone una spiegazione alternativa secondo la quale il principale responsabile dell'indebitamento è lo Stato che ha speso troppo specialmente in attività improduttive,(come lo sono i servizi sociali); che ha assunto un ruolo troppo attivo nell'economia, come gestore di imprese caratterizzate dalla loro inefficienza, che ha rappresentato il principale ostacolo alla libertà di mercato e per tanto la produttività dell'economia. Per questo gli agenti del neoliberalismo, come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, troveranno la soluzione alla crisi del debito nella liberalizzazione illimitata dell'economia e la completa eliminazione dell'intervenzionismo statale.
Così la logica del mercato capitalista che per le vittime del debito è la causa della crisi, rappresenta, per il neoliberalismo, il cammino della soluzione. Questa contrapposizione evidenzia una volta di più l'importanza del "punto di vista "che si assume di fronte alla crisi del debito.

Effetti del debito nella vita dei popoli

Il problema principale costituito dal debito, non sono la sue dimensioni e il suo accrescimento ma il suo effetto paralizzante che distorce la vita del paese. La impossibilità nella quale si ritrovano i debitori ad ammortizzare i loro debiti è nello stesso tempo la necessità che hanno di ottenere nuovi prestiti comporta conseguenze politiche ed economiche molto gravi.

1) Il "debito" giunge ad essere una catena perpetua dei popoli debitori,

il principale strumento del suo sfruttamento e della dominazione, la distruzione della sua sovranità economica e politica .
I paesi debitori devono poi rinegoziare tutti gli anni i termini del debito con i paesi e gli organismi finanziari accreditati. Questi negoziati non si realizzano evidentemente da pari a pari ma fra il forte, che può imporre le sue condizioni, e il debole, che deve accettarle, se vuole sopravvivere.
Ora, accettare le condizioni dettate dai creditori significa per il paese debitore rinunciare alla sua sovranità economica e politica che non sono separabili. Significa accettare che tutta la vita economica del paese sia organizzata nel modo più efficiente già non in funzione degli interessi del paese ma per ottenere la valuta straniera necessaria al pagamento del debito o per lo meno degli interessi. Organizzata dunque non per arricchire il paese ma per impoverirlo. Significa ufficializzare in maniera definitiva una relazione neocoloniale di sfruttamento e dominazione e ristabilire la schiavitù.

2) Il "debito" rappresenta una giustificazione permanente delle politiche economiche neoliberali

che hanno precisamente fra i loro obiettivi quello di subordinare l'economia al "servizio del debito" e più generalmente quello di spezzare nel paese tutte le barriere che impediscono la illimitata libertà di mercato e la presa del potere economico e politico da parte del capitale finanziario transnazionale.
Concretamente, questa ristrutturazione della vita economica suole significare, per esempio: a) la monetizzazione dell'economia, come dire la riduzione degli investimenti produttive e il fomentare degli investimenti speculativi di conseguenza, l'economia diventa ogni volta più autonoma rispetto alla vita del paese e più indifferente alle necessità primarie della gente; b) aumento delle esportazioni e per tanto della produzione di beni che si possono vendere sul mercato internazionale; c) riduzione delle importazioni, compresi i beni necessari alla popolazione( alimenti medicine ecc.); d) incremento degli investimenti stranieri che suppongono la riduzione del lavoro e la concessione di condizioni privilegiate a quelle imprese; e) riduzione del potere e dei diritti del lavoratore; repressione delle sue organizzazioni; f) privatizzazione delle imprese e dei servizi pubblici; g) riduzione o eliminazione del ruolo organizzatore dello Stato dell'economia del paese; h) riduzione del deficit fiscale dello stato, per tanto della spesa pubblica, e smantellamento dei servizi sociali ( salute, istruzione, assistenza sociale).
Ricorda nel suo messaggio Fidel Castro: "la seconda conferenza regionale sulla povertà in America Latina, convocata dal PNUD ed effettuata in Quito nel 1990, stabilì la cifra di 282 mila milioni di dollari come l'ammontare del finanziamento necessario per ottenere la scolarizzazione totale dei bambini in età di istruzione primaria, alfabetizzare e dare un'educazione primaria a 34 milioni di adulti, completare l'istruzione primaria di altri 61,5 milioni di adulti, risolvere la mancanza di abitazione e dare assistenza sanitaria ai quasi 100 milioni di persone che non riceveranno nessuna assistenza nel periodo fino all'anno 2000. Questa cifra, per la quale i poveri, gli analfabeti e i malati continuano ad aspettare, non è più del 46% del debito accumulato e appena il 38% dell'interesse pagato per quello a partire del 1982".

3) Il "debito" paralizza lo sviluppo e incrementa il sottosviluppo

Il pagamento del debito assorbe una parte crescente delle risorse del paese, che sarebbe urgente trasformare nello sviluppo e nella soluzione dei problemi vitali. Il debito si converte allora in un canale di estorsione legale delle risorse, in un mostro che succhia il sangue del popolo. L'incremento del debito comporta la diminuzione della crescita economica del paese. Si crea per tanto una contraddizione centrale tra il profitto del debito e quello del popolo; o, se si vuole, tra il debito esterno e il debito interno, che la Stato ha col suo popolo. Il debito si trasforma così in una questione di vita o di morte.

4) Il "debito" approfondisce le disuguaglianze sociali e acutizza la lotta di classe

Le condizione imposte all'economia del paese dai creditori favoriscono gli interessi delle minoranze privilegiate, per esempio degli imprenditori nazionali o stranieri che producono e commercializzano beni esportabili; allo stesso tempo aumentano la povertà, la disoccupazione, la fame, l'emarginazione delle grandi maggioranze e provocano lo smantellamento dei servizi sociali, di salute, istruzione e assistenza ai bambini e agli anziani. Il servizio del debito allora è una fonte permanente di disuguaglianza e ingiustizia sociale e per tanto acutizza la lotta di classe. Le relazioni internazionali di dominazione generano relazioni analoghe a livello nazionale. Così le borghesie nazionali, beneficiarie dei prestiti, si trasformano in alleate dei prestatori e colonizzatori, pertanto in nemici della sovranità nazionale e agenti della dominazione straniera.

5) Il "debito" è una guerra non dichiarata di una minoranza contro le grandi maggioranze

Secondo la definizione classica di Karl von Clausewitz "la guerra è un atto di violenza il cui obiettivo è di forzare l'avversario a fare la nostra volontà". Ora, i meccanismi del debito permettono al creditore , come precisamente stiamo dimostrando, di convertirsi in padrone dell'economia del paese debitore, e per tanto in arbitro della vita e della morte della sua popolazione. Il debito è una guerra coloniale, che come tale ritarda l'orologio della storia.
Il debito come la guerra distrugge e uccide la gente, semina infermità, fame e miseria. Produce gli stessi effetti della guerra però in modo più graduale ed occulto. E' il dissanguamento progressivo di un popolo. È una guerra che rimane al di fuori degli schermi della televisione.
Scriveva Machiavelli ne Il Principe: "gli Stati conquistati… possono essere mantenuti dai conquistatori in tre diverse maniere. La prima è distruggerli. La seconda è che il conquistatore vada a viverci di persona. La terza è permettergli di continuare a vivere sotto le sue proprie leggi, assoggettati ad un regolare tributo, ricreare in essi un governo di qualcuno che mantenga il paese come amico del conquistatore". Questa ultima forma di dominazione, la più vantaggiosa e la meno costosa per il conquistatore, è precisamente quella che praticano oggi i paesi e gli organismi creditori.
Fa parte dei meccanismi del debito anche il ricorso alla violenza militare. Senza dubbio non sono i creditori che prendono le armi per imporre la loro volontà, ma gli stessi paesi debitori che mobilitano i loro eserciti e polizie per imporre al popolo la volontà dei loro creditori. Come dire che:

6) Il "debito" favorisce l'autoritarismo, la militarizzazione del paese e la repressione dei movimenti popolari

Lo Stato debitore si trova nella necessità di soffocare lo scontento sociale generato dalla sua politica economica. Si rafforzano allora nel suo seno le tendenze militaristiche e autoritaristiche. Il potere esecutivo, fantoccio del potere economico nazionale e internazionale prevale il potere legislativo e giudiziario. Cosi la supposta democratizzazione dell'economia distrugge allo stesso tempo la sovranità nazionale e la democrazia.
In questo contesto, uno degli investimenti principale dei prestiti suole essere la corsa armamentaria e per tanto la militarizzazione del paese. Investimento che non è solo inutile per il popolo ma che offre allo stato strumenti per reprimere le mobilizzazioni popolari di protesta contro le misure neoliberali.
Sulle relazioni fra debito e corsa agli armamenti è significativa la proposta cubana , ricordata da Fidel nel suo messaggio: "A metà del decennio scorso proponemmo che l'annullamento di questo debito impagabile era possibile senza provocare fratture al sistema finanziario nazionale, mediante la diminuzione delle spese militari che raggiungevano già somme gigantesche ogni anno. Quella giustificazione scomparve, però i paesi sviluppati continuano a spendere 700mila milioni di dollari annui in armi e soldati. Con un solo anno di questa spesa militare si potrebbe annullare il debito estero dell'America Latina, in tre anni arriverebbe ad annullare il debito estero di tutto il mondo sottosviluppato che raggiunge 1,9 milioni di milioni di dollari."

Demistificare l'immagine "spontanea" del "debito estero"

Il dovere di pagare il debito estero proclamato dall'etica neo-liberale e dagli organismi finanziari internazionali e transnazionali, si fonda su un ragionamento apparentemente molto semplice : il debito estero è un debito come qualsiasi altro, dunque pagarlo è un dovere come per qualsiasi altro: Inoltre il debitore è uno stato e per tanto il suo dovere di pagare il debito è un obbligo etico-politico.
Questo ragionamento si fonda sull'immagine spontanea del debito estero, che tende precisamente ad interpretarla come forma particolare di debito; come se il termine "debito" fosse univoco, come dire applicabile nello stesso senso dentro o fuori dal sistema capitalista.
A questo livello il prestito, che genera il debito, è l'erogazione di una quantità di denaro chiesta da una persona o un gruppo per sopperire a necessità congiunturali. Da qui il dovere di rendere il denaro con interessi proporzionati all'entità del servizio offerto si fonda nel compromesso assunto dal prestatore e nel servizio che il prestito gli ha offerto. Sono le stesse persone che hanno ottenuto vantaggi dal prestito quelli che hanno il dovere di rendere la somma con i suoi interessi. Si tratta dunque di uno scambio. Compiere questo dovere è una questione d'onore.
Adesso l'analisi del debito estero che abbiamo proposto ci permette di smantellare questa immagine. In questo caso poiché si attribuisce il dovere del pagamento a un soggetto che non ha contratto il debito, che non ha tratto nessun vantaggio da prestito, che al contrario è stato gravemente danneggiato da esso. Si chiama prestito un'operazione che non ha nessuna utilità per il prestatore e che serve solo agli interessi dell'usuraio favorendo il suo arricchimento e il suo potere di dominare. Si designa con un termine che indica una relazione congiunturale quello che è in realtà una relazione strutturale di dominio. Si esige il pagamento con interessi di una somma che è in realtà il frutto di un saccheggio: si chiede inoltre al "debitore" che renda quello che in realtà è suo e che egli ha tutto il diritto di esigere con gli interessi per il principio di indennizzo.
La coscienza di queste differenze fonda la valutazione del debito dal punto di vista dei oppressi ribelli.

II - VALUTAZIONE DEL DEBITO ESTERO DEL SUD

Gli effetti del debito nella vita dei popoli offrono il criterio fondamentale di una valutazione etica e politica, per la quale vediamo la storia dal punto di vista degli oppressi. Questa valutazione ha due obiettivi strettamente vincolati: il debito stesso e il pagamento di esso.

Valutazione etica e politica del "debito" stesso

Vogliamo formulare questa valutazione con le parole della campagna "500 anni di resistenza indigena, negra e popolare". Nella convocazione al primo Incontro Continentale, si denuncia, tra i segnali che "la brutalità della conquista non è cosa del passato", lo "strangolamento della nostra economia con il pagamento di un debito estero immorale e impagabile" (Bogotà, p.277). Nella Dichiarazione di Bogotà si ritorna a indicare "l'illegittimo e immorale debito estero" come segno che continua "il genocidio e il saccheggio compiuto dagli invasori" (p.285).
"Il debito estero che hanno contratto i governi senza vantaggi per i nostri popoli è una delle vestigia del colonialismo" che è urgente sradicare. Esso è "uno dei principali ostacoli per la crescita e la stabilità della nostra economia e un fattore fondamentale, che impedisce lo sviluppo economico, di evidente dimensione politica" (Quetzaltenango,p.24). "Oltre ad averci sfruttato per cinque secoli, i paesi neo-coloniali pretendono che gli paghiamo un debito estero che raggiunge i 400 mila milioni di dollari. Oggi stesso il denaro che si presume fluisca generosamente verso i nostri paesi non è sufficiente al pagamento degli interessi. In questo modo i nostri popoli affondano in una spirale di povertà e l'impagabile debito estero, certamente minore del debito storico che essi hanno verso di noi, si trasforma in strumento centrale di dominazione del sistema finanziario internazionale e delle grandi potenze" (Quetzaltenango, pp.41-42). "Si sente il giogo di un passato debito estero, contratto dagli oppressori dei nostri popoli che generano ogni volta maggior dipendenza dimostrandoci che le potenze creditrici sono complici della distruzione della nostra vita (Quito, p.263). Tra i meccanismi mortali con i quali si esercita la dominazione capitalista, si segnala giustamente uno "scambio del debito estero con l'ecologia, nuova pratica etnocida in vigore in tutti i pesi" (Quetzaltenango, p.43,p.45). Si denuncia "l'imposizione della cosiddetta "democrazia" del sistema capitalista neo-liberale, saccheggiatore di risorse, genocida, etnocida che per mezzo del debito estero succhia il sangue del nostro popolo e genera fame, miseria, analfabetismo, denutrizione e morte" (p.43).
Il debito estero dunque non è per il movimento indigeno, nero e popolare che un ingiustizia fra le altre, della quale i suoi popoli sono vittime, ma si è trasformato nel fattore principale di dominazione e strangolamento dell'economia. Esso è lo strumento più sottilmente crudele del neocolonialismo, la prolungazione e istituzionalizzazione del genocidio originario; un crimine di lesa umanità che rimane impunito poiché mantiene tutte le apparenze della legalità, perché è perfettamente coerente con la logica costitutiva del nuovo ordine mondiale. In altre parole: un crimine di questa gravità si perpetra con l'approvazione della cultura dominante e per tanto della maggioranza dell'umanità.

Valutazione etica e politica del pagamento del "debito"

Il giudizio etico e politico sul pagamento del debito estero implicato in queste valutazioni è molto chiaro: non esiste nessun dovere di pagare il debito, ma piuttosto c'è il dovere di non pagarlo. Perché?
1. Il popolo non ha assunto in proposito nessun impegno. Il debito è stato contratto ai margini della volontà popolare e contro il suo interesse.
2. Il popolo non ha ricevuto nessun beneficio da questi prestiti, che ritornano ai paesi prestatori come capitali in fuga o come risultato del cambio ineguale.
3. Il popolo è stato vittima della repressione della militarizzazione dello stato, finanziata dai prestiti internazionali.
4. La scelta concreta sta fra continuare a pagare il debito e difendere la vita del popolo, riscattare la sovranità nazionale, riorientare l'economia al servizio del Paese e del suo sviluppo.
5. Il debito è impagabile: nessuno può essere obbligato a fare qualcosa di impossibile.
6. I prestiti che l'America Latina ha ricevuto e riceve sono, per concludere, il frutto delle spoliazioni perpetrate da secoli di conquista e dai meccanismi di un sistema economico e politico immorale. Pertanto non è solo legittimo e necessario il rifiuto del debito, ma è legittimo esigere indennizzi per le spoliazioni delle quali i popoli indoafrolatinoamericani sono stati vittime.
In una parola: il debito non si deve pagare perché non esiste, quello che esiste, e deve essere pagato, è tutt'al più il debito delle potenze del Nord.

III - PER ROMPERE LA CATENA DEL DEBITO

Alzare la bandiera del non pagamento del debito con piena coscienza delle sue difficoltà

La reazione più coerente di un popolo che prende coscienza del carattere criminale del debito e' il rifiuto del pagamento. Di fatto, tra le organizzazioni popolari, i sindacati, i partiti di sinistra, le organizzazioni indigene, la chiesa popolare ecc. si impone ogni volta di più questa tesi.
Nell'incontro di Quetzaltenango la campagna "500 anni di resistenza indigena, negra e popolare" si pronuncia "contro il pagamento del debito estero" (p.22); e la commissione "Gioventù" decide: "Alzare la bandiera del non pagamento del debito e la rottura delle relazioni con il fondo Monetario Internazionale". (p.61)
"Al giorno d'oggi, oltre ad essere stati storicamente spogliati, i popoli della nostra America ci troviamo oppressi da un considerevole e eccessivo debito estero. Se i governi delle potenze coloniali di ieri programmano con gran lusso e ancora maggiore pompa la celebrazione giubilare di una data storica come quella che ci porta il 1992, dobbiamo domandar loro se non hanno pensato che esiste anche un debito storico che essi hanno con molti popoli. Noi pensiamo che questo è uno dei punti che può contribuire a raggruppare i nostri diversi movimenti e a creare una coscienza su quanto assurde e ingiuste possano risultare le presenti pressioni che esercita la comunità finanziaria internazionale sull'America Indigena Nera e Popolare. Già ci hanno rubato il passato, adesso per giunta vogliono ipotecare il nostro futuro e quello dei nostri figli.(Quetzaltenango, p.42)
La conseguenza di queste premesse è tagliente: "Respingiamo il pagamento del debito estero, dei nostri paesi ed esigiamo l'indennizzo per il genocidio, i massacri e i saccheggi dei nostri popoli". (Quito,p.20) Dobbiamo "rifiutarci di pagare il debito estero perché non dobbiamo nulla, siamo stati spogliati delle nostre ricchezze." (Managua, p.30)
Durante l'incontro continentale sul debito estero dell'America Latina e dei Caraibi, celebrato all'Habana, Cuba, nel 1985, la dirigente indigena Qichua dell'Ecuador, dichiarò in merito: "noi indigeni nelle nostre assemblee e nei nostri congressi abbiamo respinto il pagamento di questo debito estero. Perché è ben certo che i nostri governi hanno firmato molto facilmente gli accordi e, molto facilmente, gli hanno resi pubblici " per lo sviluppo e per il beneficio delle comunità", quando andiamo alle comunità, in realtà noi non abbiamo ricevuto un soldo da questo debito, né dai privati né dagli statali, perché nelle nostre comunità non si vedono ospedali, non si vede una buona scuola, non ci sono mezzi di comunicazione, né strade che realmente possano aiutare la comunità, non si vede nessuno sviluppo. Per questo noi abbiamo negato e abbiamo respinto questo pagamento, e per questo diciamo che lo paghino coloro i quali lo ricevettero, e che non dobbiamo pagare noi.
Da ciò, nonostante che il rappresentante del governo del nostro paese abbia detto che sono d'accordo a pagare il debito, noi, come popolo, per quello che proviamo sulla nostra pelle , diciamo: "no al pagamento del debito estero". Perché molto facilmente loro dicono sì al pagamento. E' facile con un decreto di austerità… chiaro, l'austerità è che noi stringiamo ogni giorno più la cintura e smettiamo di mangiare. Questo è un decreto mascherato da genocidio massiccio che vogliono fare lentamente con il nostro popolo.
Per questo la nostra organizzazione, il nostro popolo, dice che si faccia il nuovo ordinamento… dove però non si continui a uccidere di fame il popolo, dove si aiuti la liberazione dei nostri popoli, dove non continuiamo ad essere sottomessi alle pressioni né agli abusi del Fondo Monetario Internazionale.
Non pagare il debito significherebbe dirigere al servizio delle grandi maggioranze i capitali che si sarebbero dispersi consegnandoli alle organizzazioni usuraie. Non pagare il debito significherebbe soprattutto riscattare la sovranità nazionale, per tanto la possibilità di riorientare la produzione e tutta l'economia a servizio del paese.
Senza dubbio, assumendo questa di posizione non possiamo prescindere da una obiezione che ci verrà da ogni parte. Questo programma non è realizzabile, manca di realismo, sarà fatalmente distrutto. Perché il debito può essere immorale e impagabile, però è anche inevitabile come il capitalismo neoliberale.
Certamente una decisione così grave come quella del non pagamento del debito non si prenderebbe impunemente. Le rappresaglie da parte dei creditori sarebbero immediate e spietate. I paesi debitori si vedrebbero negare ogni nuovo prestito e sarebbero boicottati nelle loro esportazioni e importazioni.
Inoltre il mancato pagamento del debito eliminerebbe il principale ostacolo alla soluzione dei problemi economici del paese, però non risolverebbe i problemi dell'alternativa economica e politica che resterebbero drammaticamente aperti. Si è certi che il problema del debito ha le sue radici profonde nel modello economico nazionale e internazionale, e il non pagamento lascerebbe aperti gli altri problemi provocati dal modello.
Allora, il non pagamento del debito sarà un'opzione realista e non demagogica, solo se si prende piena coscienza dell'enorme difficoltà che sarà necessario affrontare per sostenerla coerentemente.
Inoltre, sarà un'opzione realistica e non demagogica solo se sarà parte di un progetto e una strategia globale, fondata sul protagonismo del popolo e orientata verso una media e grande scadenza per realizzare una ristrutturazione dell'economia a servizio delle grandi maggioranza. Il popolo ecuadoriano ha oggi un'opportunità eccezionale per affermare con efficacia il non pagamento del debito, vincolando questa rivendicazione con un progetto globale di alternativa economica e politica: l'assemblea nazionale costituente.

Promuovere un processo di coscientizzazione e mobilitazione che riconosca il popolo come protagonista della soluzione

La stessa espressione di debito estero è uno dei meccanismi che servono a nascondere e legittimare questo crimine. Esso poi trasforma il saccheggio e il genocidio commesso dai paesi ricchi in un atto di beneficenza; conferisce ad una violenza sistematica la dignità del fondamento del diritto. Trasforma la vittima del crimine in debitrice e per tanto in ostaggio e schiava del creditore. Il supposto debito del sud serve ad occultare il gravissimo debito storico del nord.
Allora un momento centrale nella lotta liberatrice dei popoli del sud è la presa di coscienza dei meccanismi del debito, della loro stretta relazione con la logica del capitalismo mondiale, della sua natura criminale e genocida, della contraddizione tra pagamento del debito e difesa della sovranità nazionale. Ora, come l'idea del debito è parte integrante della cultura dominante liberal democratica, la presa di coscienza della quale parliamo, dovrà smascherare questa cultura nel suo insieme e nel processo di globalizzazione orientato per essa, denunciando il suo carattere antipopolare.
L'itinerario naturale di ogni processo di presa di coscienza è il vincolo di temi così generali e apparentemente lontani dalla vita quotidiana: è importante che tutti arriviamo a percepire l'impatto del debito su fenomeni vicini come la disoccupazione, il rialzo dei prezzi, lo smantellamento dei servizi sociali, il deterioramento dell'ambiente etc. .
Un aspetto della vita quotidiana che può servire come punto di partenza di un processo di presa di coscienza è quello dei debiti privati impagabili che in alcuni paesi stanno convertendosi in un problema angosciante per molti cittadini. È tipico al riguardo il caso dei Barzonistas (1 milione 500mila) del Messico. Le radici di questo problema privato coincidono in gran misura con quelle del problema pubblico rappresentato dal debito estero: e si trovano nel potere assoluto che si aggiudica oggi il capitale finanziario, respingendo qualsiasi norma morale.
Il metodo più adeguato per fare scoprire questi nessi è quello dell'educazione popolare liberatrice. Sarà per tanto necessario elaborare a livello locale e nazionale piani di lavoro e opuscoli informativi sul tema. Per coinvolgere la comunità indigena nel processo di presa di coscienza si dovranno preparare opuscoli in lingua quechua e realizzare laboratori totalmente o parzialmente in questa lingua.
Senza dubbio la presa di coscienza non ha come obiettivo solo la presa di coscienza del problema da parte del popolo ma anche il suo coinvolgimento come protagonista nella soluzione. Questo presuppone che il popolo prenda coscienza dei suoi diritti calpestati, in primo luogo il suo diritto di autodeterminazione e prenda la decisione di impegnarsi in maniera belligerante per difenderli.
Essere protagonista delle soluzioni significa per il popolo non aspettare soluzioni e consegna dall'alto, ma partecipare attivamente alla ricerca di soluzioni alternative. L'educazione liberatrice implica anche una metodologia di investigazione - azione partecipativa, che è urgente applicare sia alla analisi sia alla valutazione del debito estero, sia alla ricerca delle alternative.
La presa di coscienza così intesa sboccherà inevitabilmente in una mobilizzazione popolare, che è l'unico sentiero per rompere la catena del debito estero e imporre al paese un nuova rotta. Però la mobilitazione popolare, per essere efficace, deve essere unitaria. Allora il problema del debito ci rimette al di la' dell'unita indigena, negra e popolare, concepita come un'unità rispettosa della diversità. D'altro canto, il rifiuto del debito e la realizzazione delle alternative economiche possono rappresentare una piattaforma unitaria di lotta per tutti settori popolari. Per tanto l'importanza vitale dell'unità popolare deve essere uno dei obiettivi essenziali della presa di coscienza.
Nella congiuntura attuale dell'Ecuador un obiettivo immediato della mobilitazione popolare deve essere quello di imporre il problema del debito estero all'attenzione dell'assemblea costituente.

 

Scartare le soluzioni illusorie

 

Durante gli ultimi decenni si stavano cercando soluzioni che pretendevano di risolvere la crisi del debito influendo sopra i suoi effetti, però senza porre domande sulle sue cause strutturali. Tali sono per esempio la rinegoziazione del debito, la moratoria, il fissaggio di un tetto.
1) La rinegoziazione del debito cerca la soluzione in una attenuazione della pressione dei creditori, esigendo la riduzione degli interessi, l'aumento dei piazzamenti, un tetto del pagamento, la fissazione di prezzi giusti per i prodotti di esportazione etc…
Importante è segnalare che i paesi creditori, che si sono coordinati nel "club di Parigi" e nei comitati di gestione, non riconoscono ai debitori il diritto di coordinarsi e di negoziare collettivamente. Per tanto i negoziati sempre si sviluppano nel segno di una correlazione di forze totalmente sfavorevole al debitore.
2) La fissazione di un tetto al servizio del debito sul totale delle esportazioni sul Prodotto Interno Lordo per esempio del 10 e 20 %.
3) La moratoria o sospensione dei pagamenti degli interessi per un periodo determinato (10 o 15 anni) o per un periodo indefinito.
L'esperienza ha evidenziato il carattere illusorio di queste soluzioni, che serve solo a prolungare l'agonia del debitore. La ragione di questa inefficacia appare chiara: sono "soluzioni" che non sradicano le cause strutturali del problema. Per tanto, la presa di coscienza del carattere illusorio di queste soluzioni è un momento importante del processo di coscientizzazione e la preparazione più efficace a una presa di posizione conseguente e radicale.

 

Porre al centro della strategia nazionale la costruzione di spazi di autonomia

Il non pagamento del debito , come abbiamo segnalato, eliminerebbe il principale ostacolo allo sviluppo del paese, però non risolverebbe i suoi problemi economici. La soluzione si dovrà trovare valorizzando le risorse dell'autonomia che il non pagamento del debito avrà reso possibile, per andare a elaborare un nuovo modello economico. Le novità politiche fondamentali di questo modello sono, che 1° sia orientato dal proprio popolo; 2° sia a servizio del popolo. Le concretizzazioni di queste orientazioni esigono certamente multiple spiegazioni tecniche, elaborate dallo stesso popolo in stretta collaborazione con i suoi esperti.
Così il diritto di autodeterminazione politica ed economica dei popoli, che sta nel cuore della mobilitazione indigena, si impone una volta di più come un problema di vita o di morte: non solo per gli indigeni ma anche per tutti i settori popolari del paese e del continente. Si impone per tanto come il terreno fondamentale dell'unità popolare e continentale.
Per la resistenza indigna nera e popolare il progetto di autodeterminazione e autonomia a livello economico, si definisce giustamente rispetto al debito estero. Nel secondo incontro continentale della campagna, i Delegati decidono di "generare politiche proprie di autofinanziamento, autoapprovigionamento, con tecnologie proprie, che permettano lo sviluppo integrale autonomo per cessare di essere vittima del debito estero e recuperare la sovranità alimentare." (Quetzaltenango, p.49)
In una parola, l'unica alternativa all'autonomia del capitale finanziario è l'autonomia dei popoli .

Vincolare il riscatto della sovranità nazionale con l'unità indoafrolatinoamericana

 

Le difficoltà provocate dalle reazioni internazionali al non pagamento del debito sarebbero insuperabili se ogni paese dovesse affrontarle isolato: però cesserebbero di esserlo se tra i paesi dell'America Latina si stringessero su questo terreno vincoli autonomi di unità e di solidarietà: se per esempio un paese fratello potesse concedere il prestito che i padroni rifiutano; se i popoli del sud comprassero i prodotti boicottati dal nord o vendessero i prodotti che il nord pretende bloccare.
Le potenze creditrici sono coscienti della minaccia che rappresenterebbe per esse un processo autonomo di unificazione latino americana. Per questo respingono negoziazioni collettive del debito e impongono negoziazioni separate. I governi hanno avuto fino ad ora la debolezza di sottomettersi a questo diktat.
Dunque, il non pagamento del debito è possibile e necessario, però non si può separare dalla lotta per l'unita e la sovranità dell'America Latina, e per tanto per la costruzione di un ordine mondiale veramente nuovo, come dire fondato sopra il protagonismo del popolo e dei popoli.

Porre la questione del debito al centro del giubileo del 2000

Vorrei ora avanzare una proposta, che pretende di riscattare il senso originario, penitenziale e liberatorio del giubileo e devolvere all'opzione per i poveri il suo ruolo centrale nella caratterizzazione dell'evento. L'idea germoglia dalla coincidenza tra il passaggio dal 2° e 3° millennio e il decennio internazionale dei popoli indigeni, proclamato dalle Nazioni Unite (10-12-1994 / 10-12-2004). La proposta è quella di mettere a fuoco il passaggio dal 2° al 3° millennio dal punto di vista dei popoli indigeni, che emergono alla coscienza e alla dignità di soggetti.
Nel '92, già lo abbiamo ricordato, molte persone, gruppi, movimenti, comitati si sono mobilitati per respingere le celebrazioni del V centenario della conquista e della evangelizzazione e soprattutto dell'ideologia che l'ispirava, quella dei conquistatori e dominatori. Questo rifiuto comportava la valorizzazione del punto di vista dei popoli indigeni su quelle imprese e sull'insieme della storia. Mi pare ugualmente urgente l'analisi dell'ideologia che ispira il progetto di celebrazione del millennio, inteso come esaltazione dei 2000 anni di civilizzazione cristiana. Perché non si può separare il giudizio sui 500 anni dal giudizio sui 2000 anni. La conquista e le conquiste generatrici della modernità sono lo sbocco naturale di un'ideologia di una pratica imperiale, che hanno marcato di volta in volta tutta la nostra era.
Affermare, in questo contesto, la nostra identificazione con i popoli indigeni significa assumere il loro punto di vista per valutare la storia passata e progettare la storia futura; assumere il punto di vista degli esclusi della nostra civiltà e non quello dei dominatori. Un'opzione di civilizzazione che non si può separare da un'opzione di vita.
Mettere a fuoco il giubileo dal punto di vista degli esclusi significa riscattare il suo senso originario, penitenziale e liberatorio, riscoprire la sua carica sovversiva. Significa per le chiese rilanciare il messaggio di Gesù, compromettendosi dalla parte dei popoli indigeni e di tutti gli oppressi del mondo nella loro lotta liberatrice, cioè nei loro sforzi per affermarsi come soggetti storici. Significa denunciare coraggiosamente il crimine e il peccato strutturale dell'emarginazione delle grandi maggioranze dell'umanità e l'ideologia liberale che le ispira. Significa per tanto porre al centro della mobilitazione giubilare non l'unità tra le chiese ma la solidarietà tra i popoli e i continenti; una riconciliazione che non trasformi solo le relazioni interpersonali, ma soprattutto le relazioni strutturali tra il nord e il sud del mondo.
Significa inoltre lottare perché i paesi ricchi rinuncino a incassare il supposto debito da quelli poveri, che si è trasformato nello strumento più mortale di sfruttamento e dominazione; ancor più perché riconoscano il loro proprio debito storico con essi e si ripromettano di pagarlo. Significa infine appoggiare i popoli indigeni nella lotta che conducono per recuperare la terra dei loro padri, violentemente sequestrata dai conquistadores di ieri e di oggi.
Per concretizzare questa reinterpretazione del giubileo, potrebbe essere utile in alcuni casi contare sullo spalleggiamento della gerarchia. Però è essenziale che, su questo terreno come su altri analoghi, il popolo conti principalmente sulle proprie forze.

Il card. Arns per la sovranità e l'unità Latino Americana

Voglio concludere questa parte della nostra riflessione, con la sintesi proposta sul tema dal Cardinale Arcivescovo di S. Paolo mons. Paolo Evaristo Arns nella sua lettera all'incontro continentale sul debito estero dell'America Latina e i Caraibi, svoltosi all'Habana dal 30 luglio al 3 agosto 1985. Lettera che fu letta da Frei Betto e ripresa da Fidel Castro nel suo discorso di chiusura.
Il Cardinale sintetizzò il suo pensiero in proposito in 5 punti:
"Primo, non ci sono possibilità reali per cui il popolo latino americano e caraibico si prenda la responsabilità del peso del pagamento dei debiti colossali contratti dai nostri governi. Neppure è risolvibile continuando a pagare gli alti interessi a spese del sacrificio del nostro sviluppo e benessere.
Secondo, il problema del debito prima di essere finanziario è fondamentalmente politico e come tale deve essere affrontato. Quello che sta in gioco non sono i conti degli creditori internazionali ma la vita di milioni di persone, che non possono sopportare la minaccia permanete di misure recessive e della mancanza di lavoro che conducono alla miseria e alla morte.
Terzo, i diritti umani esigono che tutti gli uomini di buona volontà del continente e dei Caraibi, tutti i settori responsabili, si uniscano nell'urgente ricerca di una soluzione realistica per il problema del debito estero, come modo per preservare la sovranità delle nostre nazioni e difendere il principio che l'accordo principale dei nostri governi non è con gli creditori ma con i popoli che rappresenta .
Quarto, la difesa intransigente del principio di autodeterminazione dei nostri popoli richiede la fine dell'interferenza degli organismi internazionali nell'amministrazione finanziaria delle nostre nazioni. Considerando che il governo è cosa pubblica, tutti i documenti firmati con tali organismi devono essere di immediata conoscenza dell'opinione pubblica.
Quinto, è urgente la ristabilizzazione di basi concrete di un nuovo ordine economico internazionale, nel quale siano soppresse le relazioni disuguali tra paesi ricchi e poveri e assicurato al Terzo Mondo il diritto inalienabile di dirigere il proprio destino, libero dall'ingerenza imperialista e dalle misure spogliatrici nelle relazioni di commercio internazionale ".
Fidel Castro nel discorso di chiusura tornò a leggere questi punti e concluse:
"dicono che le tesi che sto difendendo sono radicali, va bene io sottoscrivo al 100 % questo programma di cinque punti, di questo illustre figlio del Brasile che è Paolo Evaristo cardinale Arns!… E aggiungerei solo un sesto punto che è l'integrazione economica dell'America Latina. E un settimo punto, che si percepisce nella sua intenzione: questa è una lotta per i popoli dell'America Latina e il Terzo Mondo, per la vita di 4milamilioni di persone che soffrono e patiscono le sofferenze di questo ordine economico inumano ed ingiusto".
L'importanza di questo incontro, che molti qualificarono come storico, sul debito, procede non solo dai molteplici apporti che hanno approfondito il tema, ma anche della presa di coscienza che egli manifestò e provocò, del fatto che il tema del debito estero della sua analisi valutazione e abolizione è un terreno decisivo di incontro tra tutti i popoli indoafrolatinoamericani, che hanno seriamente optato per la loro autodeterminazione e nello stesso tempo tra diverse correnti politiche di ogni paese.
Diceva in proposito Frei Betto :"se l'unità dei nostri popoli, se l'unità delle nostre chiese, se l'unità dei nostri partiti non è possibile circa il debito estero, è questo un fatto che consacra definitivamente la vittoria dell'imperialismo.
Ossia, noi abbiamo nel debito estero una bandiera sotto la quale cristiani, comunisti, democratici, gente social democratica, gente di tutte le tendenze politiche che ha minimo di buona volontà e onesta, possiamo riunirci per portare avanti questo problema. In più per ciò non è sufficiente che questo problema rimanga chiuso nelle nostri uffici, nelle nostre chiese, nei nostri partiti, nelle nostre università. Io penso che l'unica soluzione sia esternare il problema, portarlo in strada, fare che il debito sia un tema discusso tra gli operai nelle fabbriche, fra i contadini, nelle comunità popolari cristiane, fra gli studenti nei movimenti di donne, nei movimenti di negri, nei partiti politici, tra tutta la gente, in maniera che si vada creando questo centro di unità e di mobilizzazione di fronte a questo problema che oggi succede non per la nostre concezioni religiose e politiche, ma bensì per la fame di una moltitudine di milioni di latinoamericani che non hanno pane, non hanno un'abitazione, non hanno scuola , perché abbiamo il debito, che noi non abbiamo contratto, il debito contratto dai nostri governi."
Senza dubbio, nel suo appassionato intervento, Frei Betto si dimenticò un settore importantissimo: quello degli indigeni. Eravamo nel 1985 quando la mobilitazione indigena non aveva ancora la forza che avrebbe conseguito negli anni 90. Oggi sappiamo che in molti paesi come Ecuador, Messico, Bolivia, Guatemala etc., le popolazioni indigene stanno assumendo un ruolo di protagonista nella lotta per l'autodeterminazione e per il non al pagamento del debito .
In conclusione, con il tema del debito affrontiamo un dilemma drammatico: quello di scegliere fra il diritto della forza e la forza del diritto; tra la forza del capitale e il diritto alla vita e all'autodeterminazione delle grandi maggioranze. Dunque il problema centrale imposto dal debito è quello del genocidio legale delle grandi maggioranze. Il cammino difficile però possibile e necessario della soluzione è nella riaffermazione belligerante del popolo a livello economico politico e culturale come obiettivo di lotta e come asse della strategia.

IV IL DEBITO STORICO DEL NORD

Il debito storico dell'Europa e del Nord America: diritto delle vittime all'indennizzo

Nella prospettiva del movimento indigeno, negro e popolare, un momento fondamentale per rompere la catena del debito, è, come abbiamo sottolineato, la presa di coscienza dei popoli sulla loro origine e natura. Essa consiste nello smascherare il linguaggio ufficiale sul debito, evidenziando il suo carattere mistificante, nel senso di ciò che nasconde la realtà delle relazioni Nord Sud, per di più presenta di queste, una immagine capovolta. L'analisi del debito e della sua origine da parte del movimento non si riferisce ai meccanismi tecnici che la provocano ultimamente, ma da cinque secoli di espropriazione e sfruttamento che l'hanno generata, permettendo alle potenze del Nord di accumulare le loro ricchezze e devolvere ai popoli dell'America Latina una parte dei beni che le hanno usurpato, sotto la forma di prestiti ad usura.
"Il neoliberalismo di oggi si presenta come continuazione storica del colonialismo e del neo-colonialismo, che significarono anche il saccheggio a dismisura dei metalli preziosi come oro e argento dalle nostre viscere. Persino gli stessi storici dell'economia mondiale hanno riconosciuto e dimostrato che, oltre le migliaia di vite perse nelle miniere, questo saccheggio di metalli preziosi permise l'accumulazione capitalista primitiva e costituì, alla lontana la base del benessere materiale di quello che oggi si chiama il mondo sviluppato. Nessuno potrà negare oggi che questo benessere attuale si appoggiò alla spoliazione massiccia che compirono prima Spagna , Portogallo, Francia , Gran Bretagna e Olanda e altre potenze coloniali, alle quali si sommano allegramente gli Stati Uniti negli ultimi decenni".(Quetztzaltenango, p.41)
"La riflessione non deve essere circoscritta solo ai gruppi indigeni, come la data del 1492 li ha toccati con più violenza, poi allo sfruttamento, genocidio e distruzione socioculturale dei gruppi indigeni si sovrappose un sistema di oppressione che creò la sua ricchezza e splendore sull'espropriazione dei beni prodotti dalla maggioranza dei popoli, fossero essi bianchi indios o negri". (Bogotà, p.290)
Questa inversione del problema del debito è un aspetto caratterizzante della nuova coscienza che si è affermata a livello di massa in America Latina nel clima del V centenario. Essa si fonda su un'analisi della conquista vista come invasione, sfruttamento, rapina, espropriazione, saccheggio, genocidio etc… :azioni qualificate per la loro gravità e dimensione come "crimini di lesa umanità". Le terre del nostro continente erano abitate da migliaia di popoli che all'arrivo degli europei videro troncato il loro sviluppo. La cupidigia e la voracità degli invasori ci negarono la condizione di esseri umani per garantire la legittimazione dell'etnocidio, genocidio e sottomissione della nostra gente, come dire, come un sovrappiù alla natura a disposizione del loro dominio". (Quito, p.260)
Questi crimini non sono stati perpetrati solo con una successione ininterrotta di interventi repressivi ma soprattutto attraverso delle strutture economiche e politiche della società e del mondo attuale. Strutture che da un lato rendono l'aggressione più continua e mortifera, dall'altro la occultano sotto le apparenze di una relazione naturale, necessaria e normale.
Per di più, prosegue l'analisi sviluppata dal movimento, questo saccheggio plurisecolare ha reso possibile l'arricchimento di ognuna delle nazioni colonizzatrici europee e a posteriori degli Stati Uniti; ha favorito quel progresso tecnologico e militare del quale oggi le grandi potenze si sentono orgogliose e che rafforza tutti i giorni la sua dominazione sui popoli del Sud.
In un mondo, nel quale il saccheggio e il sfruttamento secolare delle nostre ricchezze e del nostro lavoro ci convertì in forza inesauribile di accumulo capitalista e dello sviluppo industriale e tecnologico dei nuovi dominatori… Carichiamo sulle nostre spalle il fardello di un debito crescente, che non è altro che la nostra ricchezza convertita in prestito e l'incasso devoluto con gli interessi. Come prima, dalle nostre vene esce l'oro; dalle nostre viscere il petrolio; dal nostro sudore i capitali; dai nostri sogni l'incubo della repressione e della fame". (Managua. p.40)
Inoltre il riconoscimento del debito storico del Nord è da un lato un argomento molto forte per discutere la stessa esistenza del debito del Sud e per tanto il dovere di pagarlo. E è per altro lato la base di un nuovo fronte di lotta sul diritto dei popoli indigeni alla restituzione delle sue terre e all'indennizzo per il genocidio del quale furono e continuano ad essere vittime.
Inoltre, l'espropriazione dell'America Latina da parte del Nord non è stata solo economica, ma anche politica, culturale e religiosa: i popoli non sono stati solo espropriati delle loro ricchezze, delle loro terre, delle loro risorse naturali, ma anche del potere di autodeterminazione, delle sue culture e delle sue religioni.
Migliaia di anni prima del 1492 noi popoli autoctoni eravamo popoli autonomi, avevamo le nostre proprie forme o sistemi di governo… Durante questi 500 anni abbiamo sofferto sottomissione, saccheggio, sfruttamento, discriminazione, etnocidio, sono arrivati a negarci il diritto di essere esseri umani. Ci hanno reso inquilini in terre che per migliaia di anni furono nostre. Si emettono leggi contro di noi, leggi le quali disconoscono la nostra forma di essere e di pensare, il che ha fatto che i nostri popoli vivano dipendenti ed in estrema povertà." (Managua, p.21)
Quindi, il dovere della restituzione non concerne solo la terra e i beni economici, ma pure i beni culturali e religiosi : "tutte le istituzioni che abbiano oggetti, codici religiosi e resti di valori ancestrali degli indios d'America devono renderli alle nostre nazioni indigene, leaders spirituali e organizzazioni indigene". (Quito, p.246)
I dirigenti indigeni fanno un riferimento particolare alla responsabilità e al debito della Spagna: "se essa è disposta ad indennizzare per il danno fatto dall'invasione, esigiamo che questi risorse siano orientate verso piani e progetti che elaboreremo e amministreremo noi per soddisfare le necessità dei nostri popoli; per questo è necessario realizzare un seminario che definisca la politica sull'indennizzo". (Quito, p.239)
Per di più nell'incontro di Managua la delegazione della regione Andina introduce la categoria di "debito ecologico" (p.7), assunta a posteriori dall'insieme dei Delegati, che rivendicano "il ripudio del debito estero e il pagamento del debito ecologico e storico che spetta al nord verso i nostri popoli". (p.43)

Il debito compromette gli europei e i nord americani di oggi?

Sono queste analisi che impongono al movimento indigeno, negro e popolare di invertire il discorso delle potenze del Nord, proclamando l'esistenza da parte di queste di un enorme debito storico rispetto alle sue antiche colonie. Questo significa per tutti i popoli dell'America Latina proclamare il loro diritto alla riparazione e alla restituzione del male avuto. Per essi non è sufficiente che le potenze del Nord riconoscano le ingiustizie e furti che hanno commesso; né può soddisfare le loro rivendicazioni quello che i cristiani hanno chiamato attitudine "penitenziale".
Senza dubbio, queste rivendicazioni vanno a sbattere, come abbiamo ricordato, contro il muro dell'etnocentrismo, che impedisce agli europei di oggi come ai loro antenati di riconoscere gli indigeni come protagonisti della storia; che per tanto impedisce loro di percepire nei processi di colonizzazione una violazione sistematica e criminale dei loro diritti fondamentali. Però, inoltre, gli europei di oggi si rifiutano di assumere le colpe commesse dai loro antenati, anche quando le riconoscono; rifiutano la concezione di responsabilità, secondo la quale le colpe dei padri ricadono sui propri figli.
La rivendicazione del movimento indigeno, negro e popolare si fonda, in cambio, su una percezione della continuità rigorosa tra passato e presente.
"Il linguaggio della storia ufficiale non solo pone un velo sul genocidio e saccheggio praticato dagli europei centro le antiche civiltà di questo continente, ma continua anche oggi a legittimare la espropriazione dei diritti ancestrali che hanno gli indigeni nei loro territori ". (Bogotà, p.287)
Perché la situazione attuale dei popoli ex coloniali è influenzata decisamente dalla serie ininterrotta di aggressioni, espropriazioni ed ingiustizie delle quelli furono vittime. La stessa organizzazione politica, economica, culturale e religiosa della società, che essi con ogni diritto chiamano neocolonialista, è la prolungazione dei rapporti coloniali instaurati 500 anni fa. D'altro lato, essi pensano che il benessere del quale noi godiamo nel Nord, il progresso scientifico e tecnologico che abbiamo portato a termine siano frutto dell'accumulazione primitiva che abbiamo realizzato depredando e sfruttando le loro ricchezze.
E' nel nome di questa continuità tra passato e presente, che essi pensano di poter esigere oggi la riparazione dei crimini dei quali essi soffrono oggi le conseguenze, mentre noi ne godiamo oggi i benefici.
È urgente che questo problema cessi di essere considerato un gioco intellettuale di certi moralisti, per recuperare il suo posto nella coscienza dell'umanità, come una delle questioni morali e politiche che condizionano i l loro futuro.

 

Debito storico delle Chiese

In questo processo di espropriazione, il movimento indigeno, negro e popolare denuncia particolarmente le responsabilità delle chiese e dell'ideologia cristiana. Esse da un lato hanno offerto alla dominazione politica ed economica una giustificazione giuridica e teologica, legittimando la violazione del diritto dei popoli indigeni nel nome del diritto di Dio. D'altro lato hanno agito direttamente, con la loro opera di evangelizzazione, per squalificare e soffocare le culture e le religioni autoctone, disconoscendo e violando sistematicamente il diritto dei popoli a essere protagonisti della loro cultura e religione.
Il movimento denuncia allora la stretta relazione che è esistita e continua ad esistere tra evangelizzazione, colonialismo e razzismo. Dal suo punto di vista. la evangelizzazione fu lo strumento ideologico della dominazione e dei progetti della "nuova evangelizzazione" spinta dal Vaticano continuando ad essere strumento della dominazione occidentale strettamente vincolati con il neoliberalismo. "Con gli invasori arrivò la chiesa, la quale si trasformò in un pilastro fondamentale per la sottomissione dei nostri popoli originari. Il sistema oppressore con la sua ideologia e la sua pratica distruttrice ha carpito la nostra terra, però non ha potuto carpire la nostra mente e il nostro spirito." (Quetzaltenango, p.52) La sottomissione culturale si realizzò allora attraverso la "evangelizzazione imposta" (Ibid. p.8) cosicché la dichiarazione di Xelaju parla di "quello realizzato dall'invasione europea e nord americana durante questi 499 anni di colonialismo, neo colonialismo e evangelizzazione"(p.20) per quello che si riferisce all'attualità, la "nuova evangelizzazione" si trova citata fra i mezzi di cui si avvalgono i settori egemoni, per "perpetuare dal di dentro l'ordine ingiusto sulla nostra gente." (p.36)
Inoltre, la libera determinazione ideologica e politica delle nazionalità indigene nel continente è stata invasa e ostacolata dalla presenza e proliferazione di sette religiose aliene e imposte, la quale fomenta divisioni e scontri, perfino all'interno delle stesse comunità e reca con sé la rapida estinzione delle religioni indigene e credenze popolari". (Quetzaltenango, p.44)
"Scacciamo la proliferazione di sette fondamentaliste, dal momento che sono già uno strumento di dominazione ideologica che promuove la divisione e smobilitazione dei movimenti popolari." (p.46) Allora per il movimento indigeno, negro e popolare l'impatto negativo delle sette consiste nel fatto che esse umiliano il diritto di autodeterminazione culturale e religiosa dei popoli indigeni e nello stesso tempo provocano smobilitazioni, abbandono delle pratiche tradizionali e divisioni.

Cosa significa per le Chiese riconoscere il loro debito storico?

Cosa significa per le chiese riconoscere il loro debito storico? I documenti della resistenza indigena, negra popolare offrono sull'argomento alcune veloci indicazioni:
"esigiamo dai governi e dalle chiese lo sgombero dei nostri territori come atto di riparazione a 500 anni di genocidio e etnocidio e così pure esigiamo la rinazionalizzazione della nostra ricchezza culturale saccheggiata e profanata dagli europei." (Quito, p.267)
La polemica con la chiesa di Cimben ha un obiettivo universale: "respingiamo il piano della chiesa di Cimben, perché questa istituzione è al servizio della politica e dei governi fantocci, che negoziano con il diritto dell'economia e per aver danneggiato le risorse naturali dell'Amazzonia, perché hanno un debito umano con l'etnocidio, il genocidio e la distruzione totale dei popoli indigeni. Debito culturale, perché calpestarono in nostri valori culturali e le nostre forme di vita. Per questo reclamiamo da queste istituzioni al servizio delle potenze imperialiste, la riparazione di tutti questi fatti."(Bogotà, p.297)
"Invece di celebrare i 500 anni le chiese devono chiedere perdono e rispettare il nostro lutto e il nostro dolore". (Quito, p.255)
Su ciò che implicherebbe per le chiese il riconoscimento leale del loto debito storico, si trovano indicazioni e rivendicazioni precise nel "Documento Indigeno " elaborato nel primo incontro continentale della "Assemblea del Popolo di Dio" .
"1. Le chiese riconoscano, nello spirito di indennizzo, l'urgenza di disevangelizzare il male evangelizzato. Per definire fino a dove arriva il male "evangelizzato" assumano come criterio la opzione per gli indigeni come protagonisti storici. Valutato con questo criterio, è male evangelizzato tutto ciò che viola il diritto degli indigeni alla loro terra, alla loro cultura, alla loro religione, alla loro identità. Sviluppando questo sforzo di discernimento, le chiese non dimentichino che per gli indigeni il male evangelizzato non è l'eccezione ma la regola.
2. Le chiese rifondino in questo spirito il loro metodo di educazione nelle scuole, seminari e orfanotrofi, facendo si che l'educazione degli indigeni sia un riscatto della loro identità e che abbia come protagonisti gli stessi indigeni.
3. Le chiese prendano l'iniziativa di rendere agli indigeni le terre che continuano ad occupare. Difficilmente saranno efficaci i sermoni sul diritto degli indigeni alla terra se le chiese non danno in proposito un esempio di coerenza, compiendo un gesto profetico.
4. Le chiese spalleggino con tutti il loro mezzi il processo avviato dai popoli indigeni di riscatto della loro cultura e religione, promovendo lo studio delle religioni originarie, valorizzando le loro ricchezze e particolarmente il loro potenziale liberatore, stimolando gli stessi indigeni a riscoprire i valori delle loro culture e religioni, con tutti gli interrogativi che questo suppone sulla evangelizzazione nelle sue forme concrete.
5. Riscattare le religioni originarie non significa esaltarle incondizionatamente. Si suppone che ogni religione storica ha i suo valori e i suoi limiti, i suoi fattori liberatori e opprimenti. La critica e autocritica profetica incessante è essenziale per la vitalità di ogni religione, impedendo che si converta in uno strumento di repressione e alienazione.
Senza dubbio, questa critica non può legittimamente assume il cristianesimo come criterio universale di verità; ma ogni religione deve essere esercitata alla luce del proprio progetto. La critica delle religioni originarie deve essere principalmente opera dei suoi propri membri e non dei cristiani. La critica e la distruzione di quelle religione, realizzata dai conquistadores e dagli evangelizzatori è uno dei suoi crimini più gravi che oggi dobbiamo riconoscere lealmente. I cristiani possono stimolare nelle altre religioni questo processo autocritico, esercitando coraggiosamente e apertamente la loro propria autocritica, ispirati all'esempio dei profeti e di Gesù, nei loro conflitti con il tempio.
6. Le chiese, con i loro mezzi e la rete di relazioni di cui dispongono a livello locale, nazionale e internazionale, spalleggino e sostengano materialmente e moralmente tutte le iniziative che promuovono il protagonismo, la unità e l'autonomia dei popoli indigeni.
7. Le chiese, comprese quelle che propongono un cristianesimo liberatore, abbandonino la pretesa di essere l'unico canale in cui il Dio liberatore si rivela al mondo; e che il Vangelo di Gesù sia l'unico annuncio di liberazione per i poveri. Per tanto nel loro impegno per gli indigeni non si propongano né il battesimo né la loro cristianizzazione. Questo suppone una profonda riprogrammazione della "pastorale indigena".
8. Nel dialogo con gli indigeni, i cristiani e specialmente gli agenti pastorali ricordino che la parola "evangelizzazione" non ha per noi e per loro lo stesso significato, né la stessa carica affettiva. Non abbiamo per tanto il diritto di continuare imponendo loro il nostro linguaggio. Dunque, per caratterizzare il nostro impegno liberatorio accanto a loro sarebbe opportuno evitare la parola "evangelizzazione", carica di tante ambiguità per la storia.
Un impegno cristiano a fianco degli indigeni cosi orientato, sarà un apporto all'affermazione del loro protagonismo, della loro autonomia e della loro libertà; e sarà allo stesso tempo un segno di speranza del Dio Liberatore di tutti gli uomini".

INDICE

INTRODUZIONE: Attualità e centralità del problema del debito
E' urgente rompere il silenzio
Il "debito estero" nel processo di globalizzazione neoliberale e nel conflitto Nord - Sud
Il punto di vista degli oppressi ribelli

I - COSA E' IL "DEBITO ESTERO"DEL SUD
Ammontare del "debito estero" dell'America Latina
Origini del "debito estero" dell'America Latina come problema di vita o di morte
Effetto del debito nella vita del popolo
Demistificare l'immagine "spontanea" del "debito estero"

II - VALUTAZIONE DEL "DEBITO ESTERO" DEL SUD
Valutazione etica e politica del "debito" stesso
Valutazione etica e politica del pagamento del "debito"

III - PER ROMPERE LA CATENA DEL " DEBITO"
Alzare la bandiera del non pagamento del "debito" con piena coscienza delle
sue difficoltà
Promuovere un processo di coscientizzazione che riconosca il popolo come protagonista della soluzione
Scartare le soluzioni illusorie
Porre al centro della strategia nazionale la costruzione di spazi di autonomia
Vincolare il riscatto della sovranità nazionale con l'unità indoafrolatinoamericana
Porre la questione del debito al centro del giubileo 2000
Il Card. Arns per la sovranità e l'unità latinoamericana

IV - IL DEBITO STORICO DEL NORD
Il debito storico di Europa e Nord America: Diritto delle vittime all'indennizzo
Il debito compromette gli europei e nord americani di oggi?
Il debito storico delle Chiese
Cosa significa per le Chiese riconoscere il loro debito storico?




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