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               Il 
                momento storico nel quale viviamo è caratterizzato da alcuni 
                avvenimenti di portata epocale che interagiscono tra loro e spronano 
                tanto il credente quanto il laico a formulare un giudizio critico 
                sulla realtà, al fine di elaborare un progetto comune di 
                vita sociale. 
               
                A dieci anni dalla caduta del muro di Berlino, molti parlano di 
                fine delle ideologie, alludendo al disgregarsi dei totalitarismi 
                che hanno segnato la storia europea del '900, fino al dissolversi 
                dell'Unione Sovietica che ha sancito il fallimento politico del 
                progetto marxista-comunista nel vecchio continente. Ignorano così, 
                non solo che una ideologia è morta solo quando è 
                sradicata da ogni coscienza e militanza - e per quanto minoritaria 
                può sopravvivere e rigenerarsi grazie alla seria autocritica 
                degli errori passati - ma anche che il mondo attuale, lungi dall'essere 
                privo di ogni ideologia, è sottoposto al dominio, unico 
                e incontrastato, dell'ideologia liberale capitalista, per ora 
                vincente, nella sua versione esasperata che è il Neoliberismo. 
               
                Se infatti il Capitalismo si impossessava degli stati e capitalizzava 
                su di essi, il Neoliberismo oltrepassa lo stato in una gestione 
                internazionale dell'economia a cui le singole nazioni, private 
                della loro sovranità, devono necessariamente sottomettersi 
                per non venire penalizzate e quindi destinate alla retrocessione 
                fino all'indebitamento e alla miseria. Il Neoliberismo propugna 
                così la struttura dello stato minimo, incapace di garantire 
                il benessere di tutti i suoi membri nonché l'armonia e 
                la convivenza sociale. 
               
                Legge suprema del sistema economico neoliberale è infatti 
                il raggiungimento del massimo profitto mediante una competitività 
                non sottoposta a regole di natura etica, dove il fine ed il criterio 
                delle opzioni commerciali coincidono nel lucro fine a se stesso. 
                Nel rapporto qualità-prezzo dei prodotti, nella corsa all'accaparramento 
                delle materie prime, nel bisogno di mantenere un mercato mondiale 
                ormai saturo, ad essere sacrificati sono i diritti umani delle 
                popolazioni che abitano alcune zone del pianeta, i diritti sindacali 
                dei lavoratori, l'infanzia di milioni di bambini, lo sfruttamento 
                indiscriminato e suicida dell'ambiente. I resoconti dell'ONU, 
                dei diversi Organismi Internazionali preposti allo Sviluppo e 
                degli Istituti di ricerca parlano chiaro: non solo il pianeta 
                non è in grado di sostenere a lungo questo ritmo di sfruttamento, 
                ma la povertà, le malattie e la fame sono in vertiginoso 
                aumento. Se nel novembre del 1996, al tempo del Vertice Mondiale 
                sull'Alimentazione promosso dalla FAO, a Roma, la fame colpiva 
                800.000.000 di persone, allorché i paesi partecipanti si 
                impegnarono a ridurre tale percentuale del 50% in vent'anni, suscitando 
                lo sdegno di Castro che lo riteneva un obiettivo insufficiente 
                e vergognoso, nel breve spazio di tre anni il numero degli affamati 
                è invece aumentato di altri sei milioni. E non poteva essere 
                diversamente. Per aumentare la competitività e quindi i 
                guadagni è indispensabile diminuire i costi di produzione 
                e distribuzione, con tutte le conseguenze sociali che questo comporta. 
                In questa logica, la promessa di creare ricchezza per tutti è 
                solo una pia menzogna per acquietare le coscienze più farisaiche 
                e borghesi o ingannare la buona fede di quelle più ingenue. 
               
                Ma il Sistema neoliberale non ha solo valenza economica o finanziaria. 
                Come ogni dottrina economica che si rispetti ha alle spalle una 
                filosofia che lo sostiene e che pervade i diversi aspetti della 
                vita sociale, snaturandoli, con l'obiettivo di salvaguardarlo. 
                Così le leggi della competitività entrano nella 
                cultura mediante la scuola. Sarà più efficace un 
                istituto che prepara "professionalmente" i giovani, 
                con poche idee precise ed una competenza tecnica orientata al 
                massimo profitto, piuttosto che uno capace di far incontrare le 
                diverse culture, di sviluppare un proprio senso critico e di elaborare 
                una scala di valori nella quale l'uomo abbia ancora il primato 
                sull'economia. Gli intellettuali saranno tanto più riconosciuti 
                e incentivati nella misura in cui sacrificheranno la loro capacità 
                intellettiva a giustificare ed esaltare il sistema. Chiunque canterà 
                fuori dal coro sarà automaticamente emarginato e possibilmente 
                messo a tacere. In ambito sociale ogni mutamento sarà valutato 
                buono o cattivo a secondo del suo riscontro economico: le migrazioni 
                dei popoli - di cui la storia è maestra e trovano un rinnovato 
                impulso in questa fine millennio - sono giudicate molto negativamente 
                per l'impossibilità di gestirle secondo i propri interessi 
                e vengono osteggiate senza la minima reticenza ad incrementare 
                lo scontro sociale e nuove forme di velato razzismo.  
              erfino 
                le guerre di conquista e di difesa dei propri interessi strategici 
                ed economici vengono mistificate rivestendole con motivazioni 
                di ordine "umanitario" che se non fossero tragiche sarebbero 
                ridicole. La guerra "giusta" è così quella 
                che si combatte per difendere il proprio profitto al di fuori 
                dei confini nazionali, opprimendo il popolo lì residente, 
                con il pretesto della sua protezione. Nemmeno la vita più 
                intima delle persone e delle famiglie è risparmiata, dal 
                momento che in ogni casa, ad ogni ora, il mezzo televisivo, controllato 
                come ogni altro mezzo di comunicazione da pochi gruppi prevalenti, 
                omologa il pensiero della gente mediante raffinate tecniche comunicative 
                che inducono ad un'unica visione della realtà, creano bisogni 
                a cui offrono immediatamente le soluzioni, controllano il risentimento 
                o l'appagamento e soprattutto insinuano un'illusione di libertà 
                nel momento stesso in cui dominano le coscienze.  
                Questa omologazione del pensiero comune, questo azzeramento della 
                capacità critica dei soggetti, questa espropriazione della 
                propria soggettività, nell'impossibilità di essere 
                protagonisti della storia personale e collettiva, che porta la 
                massa a pensare - o a credere di pensare - tutta allo stesso modo, 
                è quello che i sociologi chiamano "pensiero unico", 
                il prodotto, e al tempo stesso lo strumento, più diabolico 
                del sistema neoliberale.  
                In questo contesto storico, economico, sociale e culturale, con 
                l'avvento dell'anno 2000 si colloca la celebrazione del Giubileo 
                cristiano. 
               
                Gesù lo aveva proclamato nella sinagoga di Nazareth, leggendo 
                il passo di Is 61 che riferì alla propria missione e lo 
                celebrò ogni giorno nella sua prassi liberatrice. In questo 
                modo si collocava nel solco della tradizione profetica e in particolare 
                di quella sabbatica e giubilare dell'Antico Testamento che voleva 
                portare a compimento. Si rende così necessario per noi 
                un accenno, per quanto fugace, al percorso storico e teologico 
                che aveva maturato tale tradizione. Se l'istituzione dell'Anno 
                del Giubileo è certamente posteriore all'Esilio babilonese, 
                le sue radici vanno ricercate molto più indietro nel tempo, 
                in quell'evento fondante della fede di Israele che fu l'Esodo, 
                la liberazione dalla schiavitù in Egitto. Allora il Dio 
                dei padri si era rivelato come il Liberatore, colui che spezza 
                i vincoli dell'oppressione e della miseria e restituisce all'uomo 
                la sua dignità di figlio. Israele comprese che non si trattava 
                di un episodio isolato, ma dell'inizio dell'autorivelazione divina 
                che irrompeva nella storia con un progetto di salvezza destinato 
                a restaurare quell'ordine insito nella creazione e disatteso dalla 
                cupidigia e della violenza dell'uomo. Se Dio li aveva liberati 
                da una politica oppressiva, da un'economia ingiusta e assassina, 
                da una religione umiliante non era certo per ricominciare allo 
                stesso modo da un'altra parte. In quell'esperienza mistica che 
                fu il cammino nel deserto, Dio rivelò al popolo il suo 
                sogno: una economia di giustizia, una politica al servizio dell'uomo, 
                una religione liberatrice della sua dignità. Israele iniziò 
                così a intuire le due idee fondamentali attorno alle quali 
                si strutturarono poi il messaggio dell'Antico e del Nuovo Testamento 
                (l'ideologia biblica): Dio è Padre-Madre di tutto il genere 
                umano ed è l'unico Signore di tutte le cose, perché 
                Lui solo è il loro Creatore.  
              uesti 
                articoli originali della fede di Israele vennero poi introdotti 
                anche nel Credo cristiano (il cosiddetto Simbolo niceno-costantinopolitano): 
                "Credo in un solo Dio Padre onnipotente, creatore del cielo 
                e della terra
". Ora, volontà del Padre è 
                dividere in parti uguali la "sua eredità" tra 
                tutti i figli e certo lo può perché tutte le cose 
                appartengono a Lui. Egli non ammette che gli uni opprimano gli 
                altri o i beni della creazione non siano divisi secondo il bisogno 
                di ciascuno: in questo consiste l'ordine primordiale insito nell'essenza 
                stessa della creazione. Questa convinzione di fede ci viene offerta 
                in forma di parabola nel celebre brano del paradiso terrestre 
                di Gn 2, in cui gli uomini vivono in armonia tra loro e con la 
                natura, la quale produce più del necessario per tutti. 
                Non c'è fame, non c'è sofferenza
 e l'uomo 
                è talmente in comunione con Dio da passeggiare con Lui 
                nel giardino. Così, quando Israele giungerà nella 
                terra promessa, sentirà il dovere di trasformare l'ideologia 
                in Utopia, cioè nella realizzazione di un grande progetto 
                ideale: rifiuta il sistema monarchico-tributario, in cui il re 
                è padrone della terra e del popolo e ne dispone a piacere; 
                la terra viene invece divisa in parti eque tra le tribù 
                e ognuno ne avrà l'usufrutto ma non la proprietà 
                assoluta che appartiene a Dio. In questa logica non c'è 
                spazio per l'accaparramento dei beni o per la concentrazione della 
                terra in poche mani: come per la manna nel deserto, bisogna possederne 
                solo quanto serve per la vita. 
              Il 
                di più, che impoverisce il fratello e presuppone una distribuzione 
                diversa da quella voluta da Dio, non è solo questione di 
                ingiustizia sociale, ma anzitutto una profanazione della paternità 
                di Dio, una sconfessione della sua Signoria sul Creato. E quando 
                con l'avvento della monarchia (dal 1030 a.C. con Saul, Davide, 
                Salomone
) Israele si avvierà ad essere uno stato 
                come tutti gli altri, fondato sulle diseguaglianze sociali, sull'oppressione 
                e la povertà, i profeti saranno inviati da Dio a denunciare 
                l'ingiustizia, i soprusi e l'idolatria, cioè l'infedeltà 
                all'Alleanza. E' in questo periodo, che grazie alla parola dei 
                profeti e alla riflessione di alcuni illuminati sacerdoti, questi 
                ultimi compongono il codice dell'Alleanza, la Legge, che prevede 
                l'istituzione dell'Anno Sabbatico e del Giubileo, per ristabilire 
                almeno periodicamente l'ordine voluto da Dio e quindi poter celebrare 
                una vera riconciliazione con Lui. Questo Anno prevede di conseguenza 
                l'obbligo di ridistribuire la terra equamente, condonare i debiti, 
                liberare gli schiavi, e lasciare riposare la terra, in un anno 
                in cui i poveri del paese possano cibarsi dei frutti che spontaneamente 
                essa produce. Il latifondo, la miseria, l'oppressione, l'eccesso 
                di ricchezza, vengono così delegittimati dal Dio della 
                vita.  
                Ma ancora una volta tutto questo restò nella sfera dei 
                buoni propositi, e Gesù, a Nazareth, si presenta come colui 
                che è venuto a dargli compimento.  
              Se 
                l'obiettivo della missione di Gesù è l'annuncio 
                (da intendersi non solo verbale, ma come realizzazione) del Regno 
                di Dio, cioè la prossimità della paternità 
                di Dio ad ogni uomo, e di conseguenza la creazione di rapporti 
                veramente fraterni tra questi, il Giubileo ne è certamente 
                lo strumento privilegiato. Ogni parola di Gesù, ogni suo 
                gesto possono definirsi giubilari, cioè portatori di una 
                bella notizia che da gioia, perché libera. E' ciò 
                che chiamiamo "la prassi liberatrice di Gesù". 
                Ed è evidente, a chiunque conosca anche solo un poco i 
                Vangeli, che questa prassi liberatrice corrisponde perfettamente 
                alla sua filosofia di vita; una filosofia che essendo impregnata 
                della presenza viva di Dio, meglio dovremmo chiamare "teologia 
                di vita". E' quella stessa teologia che si era formata nel 
                corso della storia della salvezza a partire dall'Esodo e che Gesù 
                è venuto a portare a compimento, liberandola dagli elementi 
                spuri che nel corso dei secoli l'avevano incrostata e completandola 
                con quella definitività che solo lui, il Figlio, poteva 
                imprimerle. Ma questo portò Gesù a scontrarsi con 
                le ideologie ed i sistemi del suo tempo, cioè con l'impero 
                romano e la religiosità del tempio di Gerusalemme. Così 
                i Vangeli ci presentano Gesù impegnato in diversi momenti 
                ad indicare il limite tra i poteri mondani e la signoria di Dio. 
                Di fronte allo strapotere romano, a chi lo interrogava in mala 
                fede sull'opportunità di pagare le tasse, dopo aver osservato 
                l'immagine dell'imperatore sulla moneta, rispose: "rendete 
                a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò 
                che è di Dio" (Mc 12,17). Cioè Cesare, lo stato, 
                il potere laico ha il diritto di gestire l'economia (raffigurato 
                dall'immagine sulla moneta) ma non fino al punto di porre questa 
                al di sopra dell'uomo, che è immagine di Dio. Quando questo 
                avviene, Cesare sta usurpando il diritto di Dio e allora bisogna 
                scegliere da che parte stare. Se dalla parte di Cesare, dell'economia, 
                della finanza che appaga i suoi adepti a scapito della maggioranza 
                ridotta alla fame, alla miseria, alla morte, o dalla parte di 
                Dio che non arricchisce nessuno, ma dona la vita e la dona " 
                a tutti in abbondanza " (cfr. Gv 10,10). Non ci sono compromessi 
                possibili. A chi sperava ancora di poterlo fare, a chi si ostinava 
                nel non voler vedere il male insito in certe ideologie economiche 
                e di potere, e illudeva se stesso nella speranza di trovare un 
                accomodamento - oggi diremmo - "buonista", Gesù 
                buttava in faccia l'inevitabile alternativa: "Nessuno può 
                servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, 
                o preferirà l'uno e disprezzerà l'altro: non potete 
                servire a Dio e al denaro" (Mt 6,24). 
               
                Così pure di fronte alla gestione della religione che esercitavano 
                i sacerdoti del tempio di Gerusalemme, e in misura diversa quei 
                pii laici che erano i farisei, riducendo il culto a strumento 
                oppressivo di potere impiegato a difesa del proprio prestigio 
                e dei propri interessi, Gesù proclama che: "Il sabato 
                è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato! Perciò 
                il Figlio dell'uomo è signore anche del sabato" ( 
                Mc 2,27-28).  
                Gesù difende il primato di Dio e allo stesso tempo dell'uomo 
                su ogni economia e su ogni potere che la sostiene. L'uomo voluto 
                da Gesù è libero, autonomo, pensante con la propria 
                testa: "Diceva ancora alle folle: "Quando vedete una 
                nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così 
                accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, 
                e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l'aspetto della 
                terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? 
                E perché non giudicate da voi stessi ciò che è 
                giusto? (Lc 12, 54-57). E soprattutto le sue parole si caricano 
                di drammaticità quando giunge ad indicare come le scelte 
                di ogni giorno dettate dal tornaconto personale o dall'asservimento 
                al sistema compromettono il rapporto definitivo con Dio, perché 
                è nella storia che la libertà umana esprime la sua 
                opzione definitiva nei confronti dell'eternità: "Poi 
                dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, 
                nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. 
                Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho 
                avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi 
                avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere 
                e non mi avete visitato." (Mt 25, 41-43).  
              Ecco 
                allora come la logica del Regno proposta da Gesù agli uomini 
                è ancora una volta - o meglio più di un tempo - 
                alternativa e incompatibile con quella di un'economia che si pone 
                al di sopra di tutto, al posto stesso di Dio. Del resto l'affermazione 
                di Fukuyama, uno dei più grandi ideologi del Neoliberismo, 
                secondo cui: "Fuori dal capitalismo non c'è salvezza. 
                Siamo giunti al fine della storia", dovrebbe far immediatamente 
                comprendere ad ogni cristiano la consistenza di tale pretesa. 
                Per il Nuovo Testamento infatti è Cristo il fine della 
                storia, l'unico che possa svelare il senso stesso della storia, 
                l'unico che può salvare: "In nessun altro c'è 
                salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini 
                sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere 
                salvati" (At 4,12). Chiunque altri si presenti ad usurparne 
                il posto è l'Anticristo: "Chi è il menzognero 
                se non colui che nega che Gesù è il Cristo? L'anticristo 
                è colui che nega il Padre e il Figlio" (1 Gv 2,22). 
                Negare al Padre il diritto di ordinare la distribuzione dei beni 
                della terra, negare al Figlio l'unicità della sua funzione 
                salvifica, negare all'uomo il diritto al proprio adeguato sostentamento, 
                alla propria dignità, libertà, soggettività: 
                è questo in definitiva il prodotto maturo del Neoliberismo, 
                l'idolo del mondo contemporaneo che vuole insidiare nelle coscienze, 
                più ancora che nei mercati, il posto di Dio. 
               
                Per questo non è solo utile, ma necessario, indispensabile 
                proclamare un Giubileo: il Giubileo di Gesù. Per liberare 
                ancora una volta l'uomo, per salvaguardare il creato, per riaffermare 
                la centralità e l'unicità della signoria salvifica 
                di Gesù, per riaffermare il primato di Dio! Un Giubileo 
                nel quale risuoni ancora una volta l'annuncio/comando salvifico: 
                "Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal 
                paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai 
                altri dei di fronte a me" (Es 20, 2-3). 
              Alberto 
                Vitali 
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