Marciare "a freddo"



Il 12 ottobre 2003 il popolo della Pace tornerà a marciare, in occasione della manifestazione che porta il nome di due città, un tempo nemiche, spesso in guerra, che costituirono il contesto geografico, sociale e culturale della conversione di Francesco, il più popolare tra i santi della Pace: Perugia e Assisi. Tornarà a "marciare", perché in realtà di camminare non smette mai: ogni giorno, dentro la storia, nella miriade di situazioni, vicine o lontane, in cui i popoli lottano per salvaguardare non solo il proprio futuro, ma anche ciò che di più vero, originale e sacro costituisce la nostra umanità. Perché la storia, quella vera, con la lettera maiuscola, che non si riduce alle mille banalità della cronaca, riportate dai giornali, ma garantisce il domani del mondo e permette a Dio di non pentirsi della scelta originaria, viene scritta nel nascondimento della quotidianità, da milioni di uomini e donne che spesso non possono concedersi nemmeno il lusso del tempo necessario a renderse conto. In altre parole: se ai potenti di turno, e relativi giannizzeri, non è ancora riuscito di annientare i tre quarti del genere umano, con i loro vertici che sfornano fame; con l'ingordigia delle case farmaceutiche che nega l'accesso ai farmaci a milioni di infermi, malati anzitutto di povertà; con la perversa avidità dei produttori d'armi o la ferocia di chi se ne serve, insistendo a bombardare e disseminare la terra di mine che lacerano le carni e provocano handicap su scala industriale… è perché esistono, anche e soprattutto, milioni di persone - donne in prevalenza - che lottano con tenacia incrollabile per sfamare, curare e proteggere i propri figli. A loro è dedicata questa e ogni altra marcia della Pace; come tempo per riflettere, prendere coscienza, testimoniare e rinnovare il proprio impegno. Non certo per sfilare a dimostrazione di quanti "guardano senza vedere" o "sentono senza capire", imprigionati come sono nei propri interessi e pregiudizi, conditi di cinismo. Costoro continueranno a scrivere e a sputare inappellabili sentenze, dall'alto della loro presunta sapienza; a deriderci e a spiegarci il "come si fa", dalle colonne dei loro giornali o nei salotti buoni dei più diversi (quanto rigorosamente uguali) talk-show televisivi, ma… ormai siamo alla resa dei conti. Anche i più distratti hanno iniziato a capire e gli ingenui a rendersene conto: due anni di guerre non sono serviti che a massacrare migliaia di innocenti. Bin Laden, il Mullah Omar, Saddam Hussein, chi li ha visti? E poi, nemmeno l'ombra delle presunte armi di distruzioni di massa: parola della CIA! Anzi un'ombra a dire il vero c'è: quella che si sta pericolosamente allungando sul futuro politico di Bush, dopo le rivelazioni circa le menzogne raccontate sull'inesistente acquisto di uranio da parte del dittatore iracheno. In compenso abbiamo visto (non tutti però, e questo è un vero problema! - Si veda al riguardo l'articolo della Dr.ssa Pessina su questo numero di Viator) le immagini di migliaia di bambini lacerati e carbonizzati… Ma intanto, qualcuno può forse dirci che il nostro livello di sicurezza sia oggi superiore a quello dell'11 settembre 2001? Nemmeno il presidente degli Stati Uniti ha questo coraggio, sebbene non gli manchi la sfrontatezza di presentarsi all'ONU chiedendo che "le Nazioni Unite si assumano le proprie responsabilità" (dopo averle snobbate e screditate, decidendo da solo la guerra), nel momento in cui l'unico vero esempio di responsabilità sarebbe quello di votare piuttosto una risoluzione per chiedergli conto, insieme ai suoi alleati, dei danni provocati all'Iraq e all'Afghanistan, delle sofferenze inflitte alle popolazioni civili, del numero di militari mandati continuamente al massacro, in una situazione che non presenta via d'uscita e, dulcis in fundo, per aver ulteriormente destabilizzato gli equilibri e la sicurezza internazionale… La prossima marcia della Pace avrà però un aspetto diverso da quelle che l'hanno immediatamente preceduta: se non altro, non si svolgerà sotto la pressione di un conflitto "guerreggiato", almeno in un certo senso. La manifestazione di Roma dello scorso febbraio costituiva, infatti, l'estremo tentativo per impedire almeno la partecipazione del nostro paese all'attacco-invasione dell'Iraq, che gli USA stavano preparando. E almeno questo risultato, grazie anche a circa due milioni e mezzo di bandiere esposte ai balconi e ad una contrarietà dell'opinione pubblica divenuta palpabile, è stato raggiunto. L'edizione precedente della "Perugia-Assisi", nell'ottobre 2001 (la cadenza è biennale), si svolse invece nel brutto mezzo dei bombardamenti sull'Afghanistan; mentre, andando ancora più indietro, nella primavera del 1999, "marciammo" contro l'intervento in Kosovo, al seguito della NATO, deciso allora da un governo di centro-sinistra (triste esempio di par condicio). Questa volta sarà invece - se così si può dire - una marcia "a freddo", con tutti i pro e i contro. Sulla lista dei contro metterei l'elenco delle centinaia di guerre cosiddette "dimenticate": non già per noncuranza da parte della politica internazionale, come spesso si vorrebbe far credere, quasi che fossero questioni esclusivamente locali, prive di interessi economici che vanno ben al di là delle loro frontiere, ma più semplicemente perché su questi conflitti si vuole tenere "i riflettori spenti". Ciò detto, la marcia, per noi, può considerarsi "a freddo" soltanto perché non esiste una responsabilità diretta del nostro paese, stando attenti a non cadere però, a nostra volta, nel trabocchetto della dimenticanza. Rischiamo, inoltre, di considerate "chiuse" guerre in realtà ancora aperte: dai balcani - per esempio - come dall'Afghanistan e dall'Iraq, le forze internazionali non si sono mai ritirate, e le centinaia di vittime giornaliere non sono meno "vere" soltanto per la mancanza di un giornalista che le racconti. Sulla lista dei pro scriverei invece la possibilità di ragionare, in maniera "appena" più pacata, di valori umani, diritti civili, pace con giustizia e dignità, rispetto dell'ambiente… senza cadere in quella distorsione mentale che legge necessariamente tutto in base alla banale e onnipresente contrapposizione tra destra e sinistra, come se il valore della vita non andasse ben oltre ogni diatriba politica, nostrana o internazionale che sia. Allora potremo finalmente parlare di embargo, come della più ipocrita e feroce forma di violenza contro gli inermi, che però nelle fantasie istintive del nostro immaginario da "primo mondo" riveste ancora un ruolo di alternativa accettabile e dissuadente, pre-conflitto. E questo perché nessuno ci ha mai spiegato che, paradossalmente, a conti fatti, persino una bomba può essere più clemente: se ti va bene, ti ammazza subito ed è finita… mentre l'embargo toglie ad una nazione, magari per anni, la possibilità di procurarsi i beni necessari. E', cioè, la versione moderna degli antichi assedi, che permette di vincere il nemico senza sparare un colpo, prendendolo per fame e malattia. Meglio sarebbe dire: che permette di prendere i sudditi del nemico, perché a patire questi antichi, ma sempre efficacissimi, flagelli non sono mai i responsabili di turno… E' inoltre una strategia ipocrita, perché, in realtà, a finire "sotto embargo" è solamente il commercio "civile", mentre quello bellico continua indisturbato per la propria strada. Infine non si può ignorare che, a volte, l'embargo ha rappresentato persino una fonte di guadagno per coloro che lo avevano proclamato, e per quanti hanno saputo servirsene. E' risaputo, ad esempio, che a causa dell'embargo, proclamato contro l'Iraq, dopo la guerra del Golfo, Saddam abbia venduto per un decennio quantità incalcolabili di petrolio "in nero" (cioè a sottocosto, a vantaggio personale e degli acquirenti). Ma a chi? Non certo ai paesi arabi che ne avevano più di lui!… Gli interessi di queste "transazioni internazionali" vennero scritte direttamente - quale addebito - sulla pelle del popolo iracheno, col benestare della comunità internazionale, che non poteva non sapere. Ancora, potremo ragionare di diritto alla salute e ad una sana e completa all'alimentazione, dopo anni di impegni incompiuti, in particolare dal vertice del G8 di Genova, nel luglio 2001, fino al fallimento della quinta Conferenza Ministeriale del WTO, tenutasi a Cancun, in Messico, nello scorso mese di settembre (si veda per questo l'articolo di Emma Nuri Pavoni nella rubrica dedicata allo sviluppo). Potremo e dovremo parlare ancora di molto altro, come ad esempio del tema/problema posto dal papa quale titolo del suo messaggio per la prossima giornata mondiale della Pace, che celebreremo il 1° gennaio 2004: "il Diritto internazionale, una via della Pace". Ogni riferimento a quanto successo in quest'ultimo anno, credo sia semplicemente voluto. Dovremo necessariamente parlare di "armi leggere", che mietono più vittime di quelle pesanti e nella cui produzione il nostro paese eccelle a livello mondiale. Ma soprattutto dovremo porci e porre l'improcrastinabile questione dell'immolazione degli innocenti. Se cioè è umanamente, eticamente e civilmente accettabile che degli innocenti debbano morire, quale prezzo stabilito dal nostro concetto di giustizia. Se cioè la violazione di un diritto, fosse anche dell'ordine internazionale, possa essere riparata mediante la violazione di altri diritti, o dei diritti degli altri, in primis, il diritto fondamentale alla vita. Don Tonino Bello, vescovo e grande profeta della Pace, pose la questione già nel gennaio del 1991, riflettendo sulla guerra del Golfo, scrivendo un'immaginaria lettera ad Abramo, prendendo quale spunto l'episodio descritto nel capitolo diciotto della Genesi: "È giusto mettere in atto un dispiegamento così osceno di forze internazionali per assicurare l'attuazione delle sanzioni imposte all'Iraq, senza chiedersi se a pagare l'estratto conto dell'embargo saranno i bambini che muoiono per fame e per carenza di medicinali? È umano oggi, con la coscienza progredita che ci vantiamo di avere, ipotizzare un'azione militare in cui anche una sola persona innocente debba morire, quando sappiamo che la guerra travolgerebbe in un olocausto senza precedenti milioni di esseri incolpevoli? È lecito ritenere di aver superato la logica dei cavernicoli, quando sappiamo che gli strateghi militari hanno già fatto i loro calcoli, in termini di vite umane, sul costo della guerra e sul numero dei morti civili, necessari per sedersi con autorità al tavolo delle spartizioni? È forse meno iniqua la violenza quando il suo monopolio si trasferisce dalla sovranità nazionale a quella internazionale, così come è avvenuto con la recente risoluzione del Consiglio di Sicurezza? O, per caso, una guerra sponsorizzata dall'O.N.U. si potrebbe fregiare come giusta, riprendendosi così un aggettivo da cui una lunghissima riflessione morale la stava ormai dissociando? O il disco verde, anche se rilasciato all'unanimità dai plenipotenziari della terra, libererebbe la coscienza di tutti dal rosso del sangue innocente? È accettabile il principio che, per consegnare i rubinetti del petrolio ai pochissimi proprietari, valga la pena consegnare a morte violenta innumerevoli giusti?" E concludeva: "Dimmi, padre Abramo. È possibile ancora scommettere sull'intelligenza dell'uomo? Può valere a qualcosa richiamare la responsabilità dei potenti della terra sulla presenza dei "giusti"? O dobbiamo affidarci ormai unicamente a un miracolo di Dio? Se è così, ci pianteremo davanti a lui. Per supplicarlo come facesti tu. Affinché odore di zolfo non si alzi mai più dalla città". A distanza di quasi tredici anni, col senno di poi - un senno fatto di scene allora inimmaginabili, di tanti "aveva ragione don Tonino", di problemi ancora tutti da risolvere - la questione rimane la stessa; condividendo la fede di don Tonino e l'ostinato ottimismo di questo giornale, marceremo da Perugia ad Assisi per chiederci e chiedervi, senza mezze misure: è ancora possibile scommettere sull'intelligenza dell'uomo?

Alberto Vitali



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