|  La 
                Marina militare nelle acque internazionali, la Guardia di finanza 
                in quelle nazionali e la Capitaneria di porto a pattugliare le 
                coste… Molto probabilmente, grazie ad un accordo con Gheddafi 
                (!), i militari italiani controlleranno, prima o poi, anche le 
                acque e persino le coste libiche. Il tutto per impedire ad una 
                folla di morti di fame, che rischia quotidianamente la vita su 
                carrette del mare, di giungere nel nostro paese e in Europa, alla 
                ricerca di un pezzo di pane. Se questa è l'Italia… concordo con 
                Gaber: anch'"io non mi sento italiano". Ma, per fortuna o purtroppo, 
                sono anche convinto che chi - anziché vergognarsene - erige il 
                proprio egoismo a dignità di politica internazionale, coltivando 
                una demagogia che gli permetta di sopravvivere (non si sa per 
                quanto) nel panorama politico, non sia l'Italia: è solo la parte 
                peggiore di essa. La questione si fa comunque pericolosa, perché 
                comporta il disconoscimento costante e indiscusso dei Diritti 
                Umani Fondamentali; non limitandosi così all'aspetto umanitario, 
                ma pregiudicando anche quello giuridico, che è costitutivo della 
                società: faremmo bene perciò a rendercene conto, ma alla svelta. 
                E questo non avviene soltanto in Italia, dove il cinismo, condito 
                con arroganza e rozzezza, di una parte politica e la rassegnazione 
                o incompetenza dell'altra fanno sì che il solo parlare di Diritti 
                Umani risulti un linguaggio da marziani (stranieri appunto!) e 
                provochi sorrisi da compassione: in tutta Europa - per limitarci 
                alla casa comune - i diritti degli immigrati non risultano una 
                questione prioritaria nell'"agenda politica" delle diverse istituzioni 
                dell'Unione. Eppure è proprio l'Europa, tra gli attuali soggetti 
                politici internazionali, ad avere la più lunga tradizione giuridica, 
                e fu l'Europa la fucina dove venne forgiata la democrazia. Inoltre, 
                per quanto quasi fatichiamo a crederlo, è l'Italia a vantare i 
                natali del "Diritto romano". Cos'è dunque successo? Dove ci siamo 
                persi? A cosa è dovuto che, proprio nel continente per eccellenza 
                del diritto, vengano ignorati i diritti di tanta gente, nel corso 
                del dibattito pubblico sulle politiche di immigrazione? Javier 
                de Lucas, docente di Filosofia del Diritto e Filosofia Politica 
                all'Università di Valenza, ritiene che, tra le diverse possibili 
                ragioni, non sia da sottovalutare il fatto che le questioni relative 
                a questi diritti non sembrano rilevanti nella definizione delle 
                tre assi portanti di ogni politica nazionale di immigrazione: 
                il controllo dei flussi (che si riduce ad una questione di polizia 
                di frontiera); la gestione della presenza degli immigrati nel 
                proprio paese (in cui la fanno da padrone le necessità di mercato 
                e la questione dell'ordine pubblico; con un pregiudizio "assimilazionista"); 
                e la relazione con i paesi d'origine (dominata dall'ossessione 
                di associarli alle funzioni di polizia di frontiera e di "scelta" 
                degli immigrati in base alle esigenze lavorative del paese di 
                destino). Ciò è possibile perché si da, paradossalmente, per scontato 
                che i diritti dei migranti siano qualche cosa di già discusso 
                e risolto: poiché gli stati dell'Unione Europea hanno firmato 
                la Dichiarazione dei Diritti Umani del '48 ed i Patti del '66, 
                si dichiara superfluo perdere altro tempo per ribadire ciò che 
                sarebbe ovvio, preferendo "guardare avanti" e fare "politica sul 
                serio". Perciò, in nome di un non meglio precisato pragmatismo 
                ragionevole, si ritiene di non trovarsi a che fare con un problema 
                di diritti, ma più semplicemente di misure politiche. E ciò riduce 
                la questione dell'immigrazione ad un problema di numeri e statistiche; 
                in particolare a due: le statistiche che calcolano le quote di 
                ingressi in base al fabbisogno del mercato interno del lavoro 
                e le statistiche che indicherebbero il limite di tolleranza dell'ordine 
                pubblico. Mercato e tolleranza sono in fin dei conti le due assi 
                portanti della "politica sul serio", di coloro che contrappongono 
                "l'etica della responsabilità" a quella dei principi, la "concretezza" 
                all'"astrazione delle discussioni che possono permettersi coloro 
                che non hanno la responsabilità di prendere decisioni serie". 
                A tutto ciò va inoltre aggiunto l'uso strumentale dell'ossessione 
                per la "sicurezza", diventata una coperta buona per coprire qualsiasi 
                cosa, all'indomani dell'11 settembre 2001. La questione che si 
                pone è dunque la seguente: i diritti umani e fondamentali degli 
                immigrati hanno - devono avere - un posto centrale nelle nostre 
                politiche di immigrazione? La risposta non può che essere assolutamente 
                affermativa, poiché i diritti essendo fondamentali risultano universali 
                ed inviolabili e non può esserci motivo alcuno, nessuna convenienza, 
                né timore di sorta che permettano a chicchessia di farvi la benché 
                minima deroga: "Nulla nella presente Dichiarazione può essere 
                interpretato nel senso di implicare un diritto di qualsiasi Stato, 
                gruppo o persona di esercitare un'attività o di compiere un atto 
                mirante alla distruzione dei diritti e delle libertà in essa enunciati" 
                (Art. 30 della Dichiarazione Universale dei Diritti Uomo). E questo 
                perché, come si afferma nel Preambolo, "il disconoscimento e il 
                disprezzo dei diritti dell'uomo hanno portato ad atti di barbarie 
                che offendono la coscienza dell'umanità". Da ciò consegue il primo 
                articolo, che in verità sembrerebbe anch'esso scritto dai marziani: 
                "Tutti gli esseri umani… devono agire gli uni verso gli altri 
                in spirito di fratellanza". Perché se è certo che nemmeno nel 
                caso in cui ci trovassimo in ristrettezze lasceremmo un nostro 
                fratello a patire la fame, dall'altra parte del mondo, o ci augureremmo 
                di vederlo sprofondare nel mare (…o no?), è ancor più certo che 
                la coscienza della fratellanza universale, negli ultimi duecento 
                anni, non è andata molto più in là degli enunciati della rivoluzione 
                francese. Quali sono dunque i diritti fondamentali su cui misurarsi? 
                Anzitutto quello alla vita, alla libertà e alla sicurezza della 
                propria persona (Art. 3). Diritto alla vita (!), non alla sopravvivenza, 
                che postula già da sé la necessità/diritto di spostarsi da qualsiasi 
                luogo o situazione che ne pregiudichi le condizioni necessarie 
                ed essenziali, specificate meglio all'articolo 25: "ogni individuo 
                ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute 
                e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo 
                all'alimentazione al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche 
                e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in 
                caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia 
                o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze 
                indipendenti dalla sua volontà". Per questo "ogni individuo ha 
                diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di 
                ritornare nel proprio Paese. Ogni individuo ha il diritto di cercare 
                e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni" (Art. 13,2-14,1). 
                Decidere di sospendere, anche solo temporaneamente, questi diritti, 
                in nome di un qualsiasi altro interesse - fosse pure la tanto 
                paventata sicurezza - contando magari sull'egoismo complice dei 
                propri connazionali, costituisce un atto ed un precedente gravissimo, 
                che mette in discussione il patto sociale su cui si fondano i 
                singoli stati e quello su cui va strutturandosi la comunità internazionale. 
                Perché se passasse la logica per cui in nome del proprio interesse 
                si possano violare anche i valori ed i principi ritenuti universalmente 
                validi, dovremmo allora chiederci perché questo dovrebbe valere 
                solo per gli stati e non anche per i singoli cittadini. Perché 
                per gli stati ricchi e non per quelli sottosviluppati. E perché, 
                all'interno di una medesima società, per gli uni e non per gli 
                altri… Non nascondiamoci che, almeno in parte, sta già succedendo! 
                Ma così siamo giunti al bivio tra civiltà e barbarie; di fronte 
                abbiamo l'alternativa irriducibile tra la forza del diritto e 
                il diritto della forza: il Far West, non a caso. Bisogna essere 
                stolti ed ignoranti per non rendersi conto che in gioco non c'è 
                ormai solo la questione - già di per sé urgente e nobile - dell'accoglienza 
                degli immigrati, ma il modello stesso di civiltà del futuro. Bisogna 
                avere le fette di salame sugli occhi per non rendersi conto che 
                in nome della "sicurezza" non solo ai migranti, ma anche a ciascuno 
                di noi, ogni giorno vengono sottratte quote di libertà personale; 
                e che, in realtà, entrambe le cose sono riconducibili alla medesima 
                logica. Come denunciava con lucidità Mons. Dho, vescovo di Alba, 
                sulla rivista Settimana del 25 agosto 2002, a proposito della 
                legge Bossi-Fini sull'immigrazione: "Si tratta semplicemente di 
                una conseguenza logica di una impostazione politica globale tipica 
                del neoliberismo imperante in tutti i settori. Quando il potere 
                pubblico, anziché cercare il bene comune e in speciale modo quello 
                dei deboli e degli ultimi, preferisce tutelare e proteggere gli 
                interessi dei forti e potenti (vedi numerosi esempi di leggi recenti) 
                e proseguire nello strisciante ma graduale progressivo smantellamento 
                dello stato sociale, dalla sanità alla previdenza e oltre, non 
                ci si può stupire se gli stessi poteri , ispirati alla filosofia 
                politica di un forte individualismo in campo economico e sociale, 
                non si preoccupino poi delle persone come tali, ma unicamente 
                dell'utilità che se ne può ricavare. Ci sarebbe da meravigliarsi 
                esattamente del contrario". E aggiunge: "non esiste solo il materialismo 
                ideologico, ma pure quello pratico, specie da noi". E' vero che 
                le bugie hanno le gambe corte (Bush e Blair se ne stanno accorgendo), 
                ma pare altrettanto vero che, per tornare all'antichità romanica, 
                panem et circenses (il pane e i giochi, i divertimenti) siano 
                ancora elementi sufficienti per incantare i cittadini del nuovo 
                impero planetario: quando ci sveglieremo potrebbe essere troppo 
                tardi. Come credenti, inoltre, non possiamo ignorare che molti 
                di coloro che approvano la violazione dei diritti dei più deboli 
                e invocano la chiusura dei confini ai bisognosi, si dicono fratelli, 
                celebrano con noi l'Eucaristia e recitano il Padre nostro. A parte 
                il fatto che è necessario un livello d'incoscienza totale per 
                rivolgersi a Dio invocando: "dacci oggi il nostro pane quotidiano" 
                e accostarsi a ricevere il pane eucaristico, quando si è risolutamente 
                fermi nel proposito di non spezzare il pane della terra con chi 
                lo chiede a noi… ma, già ai corinzi, che celebravano l'Eucaristia 
                senza riconoscere nel Corpo e nel Sangue di Cristo il principio 
                di una comunione necessaria e concreta - e perciò tolleravano 
                che ricchi e poveri vi accedessero, gli uni sazi, gli altri affamati 
                - Paolo ricordava che così facendo avrebbero mangiato e bevuto 
                la propria condanna (cfr. 1Cor 11, 29) e la colpa aveva una valenza 
                collettiva! Papa Giovanni XXIII, nell'Enciclica di cui celebriamo 
                il XL anniversario e che ha accompagnato a più riprese in questo 
                anno la riflessione di Viator, pur restando nel campo della legge 
                naturale (quella scritta da Dio nell'ordine dell'universo e nel 
                cuore di ogni uomo, prima di ogni "verità rivelata") così diceva: 
                "ogni essere umano ha il diritto alla libertà di movimento e di 
                dimora nell'interno della comunità politica di cui è cittadino; 
                ed ha pure il diritto, quando legittimi interessi lo consiglino, 
                di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse. 
                Per il fatto che si è cittadini di una determinata comunità politica, 
                nulla perde di contenuto la propria appartenenza, in qualità di 
                membri, alla stessa famiglia umana; e quindi l'appartenenza, in 
                qualità di cittadini, alla comunità mondiale" (Pacem in terris, 
                12). E riferendosi ai profughi, in modo ancor più esplicito, aggiungeva: 
                "Non è superfluo ricordare che i profughi politici sono persone; 
                e che a loro vanno riconosciuti tutti i diritti inerenti alla 
                persona: diritti che non vengono meno quando essi siano stati 
                privati della cittadinanza nelle comunità politiche di cui erano 
                membri. Fra i diritti inerenti alla persona vi è pure quello di 
                inserirsi nella comunità politica in cui si ritiene di potersi 
                creare un avvenire per sé e per la propria famiglia; di conseguenza 
                quella comunità politica, nei limiti consentiti dal bene comune 
                rettamente inteso, ha il dovere di permettere quell'inserimento, 
                come pure di favorire l'integrazione in se stessa delle nuove 
                membra" (PT57). Giovanni Paolo II ha poi fatto dell'intero Messaggio 
                per la Giornata Mondiale del Migrante di quest'anno un appello 
                "per un impegno a vincere ogni razzismo, xenofobia e nazionalismo 
                esasperato". Alcuni, dentro e fuori i palazzi del potere, hanno 
                iniziato per questo a criticare aspramente la Chiesa… ma beata 
                la Chiesa il giorno in cui sarà rigettata dai potenti di questo 
                mondo, perché avrà saputo mettersi decisamente e definitivamente 
                dalla parte degli impoveriti e degli oppressi (cfr. Lc 6,22.26). 
                La strada però è ancora lunga. Lo stesso Mons. Dho conclude: "Grazie 
                a Dio molte realtà ecclesiali - Caritas italiana, Migrantes, Pax 
                Christi e altre dell'associazionismo cattolico - hanno reagito 
                da tempo, però la base dei nostri bravi praticanti sembra largamente 
                assente, indifferente, quando non addirittura d'accordo con queste 
                scelte. Pare che la preoccupazione più seria sia quella della 
                tutela del proprio benessere, non importa se questa comporta ancora 
                una volta il porre le cose prima delle persone. Certo gli extracomunitari 
                anche da noi vanno bene per vendemmiare, soprattutto per badare 
                ai vecchi e ai malati… ma poi basta: che vogliono ancora? Il tutto 
                coniugato, forse anche con una certa buona fede o almeno mancata 
                avvertenza , con la pratica religiosa, senza coglierne l'incompatibilità 
                evangelica. Ma non si tratta solo di incoerenza da parte dei fedeli. 
                Una grande responsabilità di questa coscienza distorta ricade 
                certamente su noi pastori che, se non altro, dovremmo al riguardo 
                alzare di più la voce, senza timore di scontentare qualcuno in 
                alto o in basso". E' quello che, in realtà, dovremmo fare tutti 
                noi italiani, credenti o no, per evitare che questo Bel Paese, 
                descritto con entusiasmo dal canonico Stoppani, rimanga tale solo 
                sull'etichetta di un buon formaggio.  
               Alberto 
                Vitali 
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