L'insostenibile
militarizzazione dell'essere



Da circa un decennio si è verificata una svolta nella cultura dominante che mi ha riportato col pensiero ai giorni dell'infanzia, quando visitando il cimitero del mio paese o il "parco delle Rimembranze", vicino a casa, leggevo stupito le parole con cui la retorica del primo '900 aveva reso omaggio ai "caduti" della grande guerra e del secondo conflitto mondiale. Stupito, perché quell'enfasi faceva a pugni con il racconto dei miei nonni e genitori che la guerra l'avevano vissuta sulla loro pelle e perché parole come "sacro" erano ormai esclusiva del divino. Proprio non riuscivo a capire perché il nostro "suolo patrio" fosse più "sacro" di quello delle altre nazioni che studiavo sull'atlante, o come si potessero chiamare "eroici e valorosi volontari" quei poveretti che tutti dicevano essere stati mandati - loro malgrado - al massacro. Ma il mio cruccio si scioglieva allora in un sospiro di sollievo: si trattava, in fondo, di tempi passati, l'uomo aveva imparato la lezione; la scienza e non l'esercito sarebbe stata nel futuro il vanto dell'umanità. La barbarie della guerra con tutte le sue mistificazioni l'avevamo definitivamente lasciate alle spalle. Balle! All'inizio dell'ultima decade, con la guerra del Golfo e la comparsa dell'ossimoro "guerra umanitaria" le lancette dell'orologio culturale sono state riportate vorticosamente indietro e la mistificazione ha subito un'escalation che sembra non arrestarsi. Perché, non solo al Golfo sono seguiti la Bosnia, il Kossovo, Timor Est…, ma la logica del militare, come unica e naturale soluzione per risolvere ogni genere di conflitto sociale, si va insinuando, guidata da un'abile regia, nella cultura comune, e quindi nelle coscienze. Così, al tempo della guerra del Kosovo siamo stati spettatori attoniti di un'inedita rivoluzione culturale e politica: il governo d'Alema, primo governo di sinistra nella storia repubblicana del nostro paese, decise, senza previa consultazione del Parlamento (che in realtà sarebbe stata poco più che formale, visto l'ampio consenso che l'interventismo militare godeva nell'intero arco parlamentare) di intervenire a fianco della NATO. A causa della presenza di un governo "amico", la sinistra italiana - tranne pochi irriducibili - ha assorbito le pretestuose motivazioni del conflitto - già ampiamente smentite dalla storia - e la loro logica di violenza, facendole proprie, sia da parte degli intellettuali che dei militanti. In seguito, anche le donne furono ammesse nell'esercito, e questa riforma "epocale" fu salutata dai più come l'ultima conquista in materia di diritto e indice di civiltà. Sul piano delle pari opportunità, in effetti, non ci sono dubbi, ma avremmo voluto ascoltare più autorevoli voci ricordare a tutti che un significativo progresso di civiltà lo avremo soltanto quando anche gli uomini smetteranno di arruolarsi, mentre con questo "evento" le donne hanno piuttosto perso l'occasione di una profetica testimonianza: dimostrare che è possibile vivere benissimo senza sparare! Poi l'Arma dei Carabinieri, sciolta dal vincolo che la legava all'Esercito, si è resa autonoma costituendo finalmente la quarta forza armata: ne sentivamo appunto il bisogno! Ma intanto la situazione politica internazionale si evolveva e, con la caduta del muro di Berlino, all'immigrazione africana e asiatica si è aggiunta quella dall'Est europeo. Di per sé questo fenomeno sarebbe positivo, auspicabile, perché incrementa la forza lavoro nel nostro paese, soprattutto occupando quei settori più faticosi e meno gratificanti da cui gli italiani si tengono alla larga, ma inevitabilmente si è accompagnato ad un incremento della violenza e dalla naturale difficoltà che caratterizza l'incontro di differenti culture. Avremmo allora desiderato che i "dottori" delle diverse discipline, filosofiche, sociologiche, teologiche, politiche, cogliessero l'occasione per spiegare alla gente come "diversità" è di per sé sinonimo di arricchimento e "la convivialità delle differenze" non solo è possibile, ma è anche l'unica possibilità di futuro per tutti. Ancora una volta invece, la risposta non è stata cercata nella forza della cultura, ma nel diritto della forza e le nostre città furono pattugliate da tanta forza pubblica, neanche fossimo in stato d'assedio. E uno stato che investe speranze e presunte certezze sui metodi forti non può che investire anche sulla professionalità dell'Esercito, a costo di ingenti somme, mai disponibili per altri bisogni sociali (dove troveranno i duemila miliardi per finanziare il progetto della nuova portaerei, e soprattutto cosa se ne farà l'Italia di una portaerei in quella pozza che per i moderni missili è diventato il Mediterraneo?)… non solo: per convincere i giovani ad arruolarsi nell'"Esercito italiano… l'Esercito degli italiani" sono loro garantite alcune agevolazioni in un successivo inserimento nel mondo (civile) del lavoro. Strano davvero nell'epoca in cui la dottrina neoliberale predica l'assoluta imprescindibilità dal criterio meritocratico! Vuoi vedere che qualcosa sfugge ancora al controllo del Sistema? E perché a parità di preparazione un giovane che ha servito lo Stato nell'Esercito deve essere avvantaggiato rispetto ad un coetaneo che l'ha servito nel Servizio civile? Che fine hanno fatto le pari opportunità? Ma anche i simboli hanno la loro importanza ed ecco allora a distanza di anni il ripristino della parata militare in occasione della Festa della Repubblica e l'enfasi con cui le più alte cariche dello Stato parlano dell'Esercito - come se si trattasse della Caritas o della San Vincenzo! - celando dietro la retorica delle parole che, per sua natura e per "fini umanitari", l'Esercito uccide, deforma e traumatizza a vita, militari e civili. Quello però che ad una lettura simbolica mi sembra più grave tra gli eventi di quest'ultimo anno, è la scelta del Capo dello Stato di convocare un folto gruppo di ragazzi, per il tradizionale saluto all'inizio dell'anno scolastico, presso l'Altare della Patria, monumento militare per eccellenza, a qualche metro dalla tomba del milite ignoto, e non invece in un santuario della cultura, quale ad esempio l'Università La Sapienza di Roma. Su tutto ciò, manco a dirlo, non poteva mancare la benedizione della Chiesa, ed il 19 novembre 2000 si è celebrato in Vaticano il Giubileo dei militari: "Con Cristo a difesa della giustizia e della pace". Già! Di fronte alla lenta ma apparentemente inesorabile avanzata di questa logica credo sia urgente che tutti, in particolare genitori, educatori, intellettuali, uomini e donne di pace… alziamo un grido di allerta. Per non lasciare, di nuovo, alle future generazioni come segno della nostra civiltà la vuota retorica delle epigrafi sepolcrali e perché convinti che una strategia violenta sbocchi "naturalmente" in una società violenta. Memori del monito di Gesù a Pietro: "Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada" (Mt 26,52).

Alberto Vitali



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