L'Avvento di un mondo nuovo



"Perché voi che siete cristiani e cattolici andate a Firenze?", il conduttore di una piccola televisione piemontese mi rivolge la domanda a bruciapelo… Domanda interessante, che sebbene tradisca non pochi pregiudizi politici e ancor più diffidenza nei confronti dei molteplici gruppi che costituiscono il movimento "Un altro mondo è possibile", è comunque ricca di potenzialità e costituisce un'ottima occasione per riflettere su questioni ormai inevitabili. La mia risposta, spontanea e decisa, lo lascia stupito: "…ma proprio perché siamo cattolici e soprattutto cristiani". Evidente, ma non per tutti! L'aggettivo "cattolico" significa infatti "universale" e la Chiesa apostolica romana lo ha scelto da secoli per definire se stessa, in quanto si concepisce quale realtà globale, non limitata da criteri etnici, geografici o politici. Dagli inizi, cioè dal giorno di Pentecoste, vive la globalizzazione quale modalità naturale delle sue relazioni e tale dimensione ha costituito per secoli un unicum. Ora invece per la prima volta deve confrontarsi con un modello di globalizzazione che non le appartiene, che è "altro", sia perché si sviluppa fuori da sé, sia - e soprattutto - perché ispirato da principi, quelli neoliberali, che fanno a pugni con i valori tradizionali della sua dottrina sociale. E' dunque necessario che non solo l'istituzione ecclesiale, in quanto tale, ma anche i singoli fedeli si misurino con questa nuova realtà e siano presenti ovunque venga fatta oggetto di discussione con onestà e rigore. Ma a giustificare la nostra presenza a Firenze furono soprattutto i temi affrontati nelle assemblee plenarie, nei seminari e nei workshop del Forum Sociale Europeo: la pace e la risoluzione dei conflitti, la giustizia economica e sociale, i diritti e la democrazia, la salvaguardia dell'ambiente… temi comuni a laici e a credenti delle diverse religioni. Per noi cristiani, in particolare, costituiscono delle autentiche priorità, tanto che potremmo definirli "temi cristiani maggiori". La domanda andrebbe allora rovesciata, per chiederci non tanto "come possiamo permetterci di partecipare?" - a rischio di essere confusi, magari "contaminati" da altre ideologie - quanto piuttosto "come potremmo non farlo, noi che dal Concilio siamo stati invitati a scorgere ed interpretare i segni dei tempi?"… Come potremmo non essere là dove donne e uomini si interrogano, con sincerità e fatica, sui valori fondamentali e irrinunciabili di una convivenza solidale e pacifica? Come disertare le occasioni in cui si esprimono le aspirazioni più genuinamente umane, che continuano a sgorgare da milioni di cuori anche in un tempo, come il nostro, che sembrerebbe dominato unicamente dal delirio del profitto?… Noi che per mandato divino siamo - o dovremmo essere! - "sale della terra e luce del mondo", potremmo mai esimerci dallo scioglierci nella massa? E a cosa servirebbe appartarci? A garantire la nostra purezza? Di quella si preoccupavano i farisei… A garantire il nostro benessere? "Di queste cose si preoccupano i pagani…" (Mt 6,32). "A null'altro servirebbe (il nostro sale) che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini" (Mt 5,13b). Qui passa il vero confine - e nemmeno troppo sottile - tra il comune senso religioso dell'esperienza umana e quel salto della fede - verso Sé e verso il prossimo, senza calcoli né garanzie - che il Dio di Abramo, di Mosè e di Gesù ci chiede di fare per amore, solo per amore! E chi "salta" per Dio non resta deluso, mai. Così potrei raccontarvi di quanto in realtà fu bello e incoraggiante trovarsi a Firenze, in quella folla che, con lingue diverse, parlava un solo universale linguaggio: nella Babilonia di oggi, un angolo di Pentecoste. Potrei dilungarmi a descrivere come persino dentro la fortezza Da Basso, sede degli incontri, suor Pasini propose un luogo di silenzio e preghiera e quanti furono i giovani che ne approfittarono; ancora, potrei raccontarvi come i "profeti di sventura", sempre pronti a seminare paure e sospetti, furono smentiti e derisi, e poi perdermi nella cronaca. Potrei… ma non ci penso affatto, perché non siamo andati a Firenze per parlarci addosso, ma per guardare lontano: ai popoli, alle loro speranze, ai gioghi che sempre li opprimono, a qualcosa di ancora indefinito che però già si profila all'orizzonte, quale avvenimento di salvezza, quale utopia e progetto allo stesso tempo… qualcosa che esige però d'essere sentinelle per lasciarsi scorgere. Ognuno lo interpreta a partire dalla propria esperienza, lo chiama - o meglio lo invoca - con le parole che gli appartengono… Non è un movimento, beninteso, e nemmeno il "movimento dei movimenti": questo semmai è un'occasione, proprio come il Forum Sociale è solo una tavola fra le tante… E' invece qualcosa di antico, più delle montagne, ma che ancora deve accadere in tutta la sua pienezza. E qui troviamo un altro confine, anzi sbattiamo contro un vero e proprio muro: più antico della muraglia cinese, più resistente del muro di Berlino, più egoistico di quello che divide la California dal Messico e forse, disgraziatamente, destinato ad avere ben più futuro di quello che Israele sta' costruendo in questi giorni… E' il muro intangibile che divide l'umanità tra coloro che ormai non aspettano altro e coloro che invece sperano. Tra quanti, almeno apparentemente, sono appagati dal loro benessere e difendono - cinicamente o chiudendo gli occhi ed il cuore - quelle strutture economiche e sociali che li garantiscono. Quelli che non vogliono un mondo diverso, per paura di perdere qualche privilegio. Quelli che guardano con sospetto ogni anelito di giustizia; che strumentalizzano culture e religioni ritagliandosele addosso; che delegano i loro intellettuali a forgiare battute, più che idee, con le quali denigrare le buone ragioni degli altri!… E quanti invece non cessano di sognare e di credere: perché semplicemente non accettano che l'umanità risulti il più fallimentare esperimento della natura, o anche perché credono che l'universo intero altro non sia che il sogno di Dio. Di un Dio che a volte si contorce negli incubi… ma rimane, ciononostante, un sognatore impenitente e testardo. Quanti credono che l'amore per l'altro, il prossimo, il diverso… non sia un sentimento superfluo, liquidabile con una battuta e la banale etichetta di "buonismo", ma ritengono che solo una giustizia universalmente garantita sia degna di questo nome e possa salvare l'umanità dal caos e dall'autodistruzione. Quanti sanno che il vero amore e la bieca condiscendenza non vanno mai per la stessa strada e perciò ritengono che non basti contestare con forza la politica estera degli USA per essere "anti-americani" se, al tempo stesso, si è profondamente convinti che solo il rispetto del diritto internazionale porterà pace e sicurezza a quel popolo e al mondo intero… Quanti con Cristo - magari senza conoscerlo - credono che la violenza produca sempre e solo violenza e che fino a quando non rimetteremo le spade nei foderi potremo scordarci la pace!… E qui, da cristiani, ci viene in soccorso la fede e ci obbliga a camminare, perché a quel mondo sognato, in cui "la giustizia e la pace si baceranno" (Sal 85,11), in cui sarà scomparsa ogni forma di violenza, in cui ciascuno vedrà rispettati i propri diritti e potrà godere equamente con tutti i suoi simili dei beni della terra, in cui persino la natura sarà custodita… a quel mondo che molti tra i principali opinionisti dei nostri media ritengono un'infantile ingenuità… noi cristiani diamo un nome preciso: Regno di Dio. Gesù non è venuto a fare altro che ad inaugurare questo Regno nella sua persona e, come nella sua persona così nella storia, questo "Regno soffre violenza ed i violenti se ne impadroniscono" (Mt 11,12). La crescita del Regno passa dunque per un confronto costante, a volte doloroso, con la logica del sistema e necessita di un lavoro collettivo che ci porta a collaborare anche con chi non crede, poiché nella prospettiva di Gesù il Regno non è un'esclusiva dei suoi discepoli: "Non glielo impedite, perché chi non è contro di voi è per voi" (Lc 9,50). Il brano del Vangelo di Matteo che abbiamo appena letto nella festa di Cristo Re (25, 31-46), rivelando l'assoluta necessità di prendere posizione nei confronti del progetto storico di Dio, mescola poi completamente le carte e ci apre a nuove prospettive: alla fine dei tempi, nel giorno in cui Dio toglierà "il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti" (Is 25,7) - che cioè impediva ai popoli di riconoscersi fratelli - si manifesteranno due posizione, nette e contrapposte, assunte dai singoli individui nel corso della storia. Quella di chi avrà perseguito la giustizia, dando da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, vestendo gli ignudi, ospitando gli stranieri, visitando ammalati e carcerati, vale a dire: riconoscendo a ciascuno il suo e quale criterio universale dei diritti il necessario per vivere in maniera dignitosa; e la posizione di chi giocando invece con le parole, avrà fatto esclusivamente i propri interessi. Ma la sorpresa più grande starà nello scoprire che entrambe queste "folle" appariranno trasversali alle diverse culture, ideologie e religioni: "quando mai ti abbiamo visto bisognoso e ti - o non ti - abbiamo assistito?"… Se ciò è vero, allora possiamo, anzi dobbiamo, anticipare il mutuo riconoscimento e la comune collaborazione, giacché la luce irradiata da Cristo nella storia anticipa i tempi escatologici e lo rende possibile Per quanto la nostra identificazione non sia ancora totale; per quanto permangano differenze anche di un certo rilievo e ad unirci siano più le domande che la capacità di offrire risposte concrete e immediate; vale a dire, per quanto ad unirci sia spesso solo la ricerca e l'attesa di una verità che tutti trascende e va' al di là delle nostre potenzialità… questa è esattamente la dinamica del Regno, che è già e non ancora... Su questo riflettevo, trasportato da una folla festante per le vie di Firenze: sulla tenacia di tanta gente umile e/o semplice, infinitamente più numerosa di quella presente, che non rinuncia ad essere protagonista della propria storia e di quella del mondo… magari da una corsia d'ospedale o dal carcere; alle prese con una pensione da fame o con un sogno quasi impossibile: per tanti lo studio… Meditavo sulla tenacia della loro speranza nell'attesa cosciente di un evento nuovo che renda possibile un mondo diverso, bello e ormai necessario. Questa attesa, in termini cristiani, la chiamiamo Avvento, cioè evento, attesa di un avvenimento. E' il tempo liturgico che stiamo celebrando, ma è anche l'atteggiamento permanente della nostra vita. Che cosa aspettiamo nell'Avvento? Non già la nascita di Cristo, che, avvenuta al tempo di Cesare Augusto, di Quirinio ed Erode, fa parte ormai del passato; non solo il suo ritorno nella gloria, che probabilmente non sarà immediato; quanto piuttosto la sua quotidiana venuta nel Regno: una venuta discreta, ma visibile a coloro che hanno "occhi per vedere" e costanza di cercare. Perciò non possiamo restare inerti: come i pastori a Betlemme, anche noi dobbiamo alzarci e andare… insieme a compagni di strada che forse non avremmo scelto, ma camminano con noi… sebbene sia notte! Una notte più buia delle altre, perché è la notte del mondo, è l'ora delle tenebre e delle armi, l'ora della fame che uccide e trasforma le lodi in bestemmie! Andare… per un cammino che non fa distinzioni, nemmeno di classi: non è infatti privilegio dei poveri o negato ai dotti. Come ai Magi, la sola cosa richiesta è mettersi in discussione, rischiando le proprie certezze per seguire una stella che all'orizzonte - e quindi non proprio vicino - sta' già squarciando le tenebre. Gesù non è un pupazzetto da mettere nel presepio… è al contempo Figlio di Dio e Figlio dell'Uomo: comunque ognuno lo chiami non si offende e si mette al suo fianco, facendo propria la sua causa. Essenziale è invece non estraniarlo dal suo (e dal nostro) contesto storico, dal suo progetto, dalla sua causa, dalla sua missione… E se a Natale vorremo fare il presepe, per quanto bello, per quanto preziosi possano essere i particolari dei singoli pezzi, magari opera di abili artigiani o raffinati orafi, alla fine, per non tradire la verità storica, Lui dovremo metterlo nudo, tra le bestie. Sì, nudo, a ricordarci che la storia non è cambiata: che oggi come ieri l'impero di turno si regge e prospera sulla pelle dei poveri, col consenso dei benpensanti e a dispetto di Dio. Nudo, a ricordarci che di fronte al presepio non valgono alibi: o si sta dalla parte di Erode e della sua coorte, oppure da quella di Giuseppe e Maria, gente giusta ed onesta a cui il lavoro non basta per proteggere i figli da un sistema che impedisce loro una dignitosa esistenza. E soprattutto… lì, nudo, a ricordarci che in verità l'Avvento più lungo è quello di Dio: di un Dio che ogni anno attende, sperando che sia la volta buona in cui ci decidiamo a prenderlo sul serio. Per questo il mistero del Natale si ripete costantemente, quale universale e rinnovata "possibilità" di un mondo "altro" e nuovo; e per questo abbiamo un solo augurio per tutti... per quelli che camminano con noi e per quanti ci vorrebbero ostacolare il passo: Buon Natale!

Alberto Vitali



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