La Pacha Mama,
sora nostra Madre Terra



"La terra è madre nostra ed è anche cultura. In essa nascono gli elementi della nostra cultura… tutti gli elementi che consumiamo nelle feste tradizionali; i materiali che usano i nostri artigiani e di cui noi ci serviamo per costruire le case, provengono tutti dalla montagna. Se perdessimo queste terre, non ci sarebbe più né cultura né anima"1. Questa testimonianza di Leonidas Valdéz, cacicco "cuna" della costa atlantica del Panamá, ci suggerisce la prospettiva in cui dobbiamo porci se vogliamo comprendere cosa significa la "Terra" per i figli originali dell'America Latina, le popolazioni indigene precolombiane. Non è semplicemente una questione ecologica o economica, ma esistenziale e spirituale. La Terra è la Pacha Mama, la Grande Madre, e in quanto madre è fonte di vita fisica e spirituale; perciò va' amata, rispettata e custodita in ogni età della vita, personale e sociale, perché il miracolo della generazione e della rigenerazione si ripeta all'infinito. Spezzarlo, in nome di una presunta maggiore età dello sviluppo tecnico-scientifico, che avrebbe reso l'uomo autonomo dai suoi cicli e dal suo ecoequilibrio, sarebbe una vera pazzia suicida. Questa grande verità suona in realtà primitiva e insensata alle nostre orecchie occidentali, impregnati come siamo di tecnologismo e consumismo; convinti che ogni spiritualità si risolva in un dannoso romanticismo se introdotta nel campo della produttività. Ma proprio per questo è necessario "levarci i sandali", perché la "terra nella quale stiamo per entrare è santa", …se non vogliamo profanarla, calpestandola di nuovo con gli stivali, sempre in uso, dei "conquistadores", arroccati oggi come ieri, nelle roccaforti della loro presuntuosa superiorità e ignoranza.
Poniamoci dunque in ascolto delle popolazioni indie che ci parlano della Pacha Mama, alla luce della loro ancestrale saggezza.
La terra è anzitutto l'orizzonte entro il quale l'uomo conosce se stesso. Le forze interiori, che sono anche forze cosmiche, parlano al cuore di chi sa ascoltare: parlano dell'uomo e della donna, del bambino e dell'anziano, della sessualità, del dolore, della felicità. Parlano del mistero di Dio. Per questo i saggi, quando vengono consultati dalla comunità, fanno silenzio, non per ragionare, ma per osservare con attenzione intorno a sé, per contemplare i monti e i fiumi; respirano profondamente l'aria e tastano con forza il terreno con i piedi. Solo dopo aver interrogato e ascoltato così la Madre Terra, parlano. Il saggio, per gli aimarà della Bolivia, è colui che sa vedere, che scruta attentamente, che guarda le cose da tutti i lati e cerca di vederci dentro.
Ma l'uomo non è per niente passivo nei confronti della natura, perché anche lui fa parte della terra. Dalla terra viene e alla terra ritorna, e il suo spirito abita lo spazio del tempo, abitato anche dalla natura, secondo una concezione del tempo e dello spazio completamente diversa dalla nostra, che ci fa perdere nel passato la presenza dei defunti, nonostante la fede cristiana nella Pasqua. Così l'indio sente il dovere morale di onorare la Madre, prendendosene cura, come fa il custode col giardino. La foresta Amazzonica, ad esempio, dove si trova la più grande biodiversità del pianeta, non è quel luogo disabitato e privo di interventi umani che molti credono. Al contrario è abitata da centinaia di etnie che da migliaia d'anni la coltivano, aiutando la natura a superare alcune limitazioni presenti nell'ecosistema, quali l'acidità e la povertà chimica del suolo, che riguarda il 75% del suo territorio. Almeno l'11% delle foreste nell'Amazzonia brasiliana, devono la loro origine all'opera dell'uomo che ha coltivato palme, bambù, castagni, e altro.
"Secondo l'antropologo William Balée, non furono gli indigeni che fondamentalmente si adattarono alla foresta primordiale, furono invece loro stessi a modificare intenzionalmente l'habitat per stimolare la crescita di comunità vegetali e la loro integrazione con comunità animali e con l'essere umano. 'In un certo senso, i differenti profili di queste foreste possono essere visti come manufatti archeologici assolutamente simili agli strumenti e ai cocci di ceramica, dal momento che queste foreste ci aprono una finestra sul passato dell'Amazzonia'2"3.
L'uomo dunque non è necessariamente fonte di guai, come ben sanno ad ogni latitudine i contadini e i "teneri amanti di sorella terra". Riscontriamo qui una vera e propria mistica della natura e del lavoro dell'uomo. Se questo infatti ha assunto da noi un significato quasi esclusivamente produttivo, per l'indio esso è soprattutto una missione che lo porta a solidarizzare con il bene proprio della Madre Terra, ma anche ad aiutarla nel suo compito di provvedere al sostentamento e al nutrimento di tutti. L'uomo vive così in comunione con la natura in una comunità cosmica in cui il lavoro ed il bene di ciascuno è affidato alle cure di tutti. Perciò gli indigeni non eccedono nel lavoro, a fine di lucro, e soprattutto non lavorano individualmente. "Con 47 giorni di lavoro all'anno un indigeno Maya produce il sufficiente per 5 persone, il che gli permette di aver tempo per le occupazioni comunitarie, per costruire templi e per dedicarsi alle arti"4. Scopo del lavoro è il vivere bene, ed è sempre un'attività comunitaria gradita, perché in esso il fine e lo stile coincidono. Quando poi tagliano una pianta per scopi medicinali o artigianali, o quando uccidono un capo di bestiame per cibarsene, oltre a farlo nei limiti dello stretto necessario, celebrano riti per discolparsene e ripristinare l'armonia originaria con la natura, violata dall'inevitabile ferita. Infine non possiamo dimenticare l'esperienza della presenza di Dio che i popoli indigeni vivono attraverso la natura. Per loro Dio non è il frutto di un complicato ragionamento, tipico delle filosofie occidentali: Dio sta' semplicemente lì, è Colui che "riempie di sé tutte le cose" (cfr. Ef 4,10). Dovremo stare attenti a non etichettare troppo facilmente questa religiosità come "panteista", perché ancora una volta tradiremmo solo la nostra mentalità conquistatrice, per la quale tutto deve necessariamente rientrare (e perciò essere giudicato e spesso scartato) nei nostri schemi mentali e nelle nostre categorie filosofiche. La religiosità india è in realtà molto più vicina alla mentalità biblica di quanto non sia la nostra, grazie a questa forte comunione con la natura, che è il primo luogo teologico della Rivelazione. Tutto è pieno e imbevuto di Lui, e quindi tutto è un possibile sacramento, portatore potenziale di teofania. "Essendo vivo e vivificatore, Dio riempie di vita l'universo, anche ogni cosa che sembra inerte, ma non lo è. Anzi, essa parla e irradia. L'albero non è solo albero, chiuso in se stesso. E' un essere dalle molte braccia e con miglia di lingue (rami e foglie), dorme d'inverno, sorride a primavera, è madre generosa d'estate e austera anziana in autunno"5. Anche gli antenati vivono in questa dimensione che si rende accessibile alla comunità mediante i segni, le danze, i sogni, le feste… Se vogliamo possiamo chiamarla animismo, ma solo a condizione di purificare questo termine dalla concezione magico-superstiziosa che siamo soliti attribuirgli… Qui tutto inizia con la vita e termina con la vita, per poi rigenerarsi in una nuova dimensione, perché tutto è vivificato e animato dal Dio della Vita.
Ammettiamolo: ci sembra di aver finalmente trovato il paradiso terrestre! Ora anche a noi è chiaro perché "questa terra è santa". Ma proprio per questo è ancora più forte lo schok quando, attraversando in lungo e in largo le terre dell'America Centrale e Latina, scopriamo la Pacha Mama incatenata e violentata. Quando vediamo i suoi figli vivere in paradiso come fossero all'inferno… Migliaia di chilometri di filo spinato delimitano da un lato le "fincas", i latifondi, la terra spesso incolta o coltivata a monocolture incuranti delle esigenze della biodiversità, dell'impoverimento del suolo; dall'altra la fame, i desplazados (migliaia di sfollati cacciati dalle loro terre ad opera di latifondisti e multinazionali che allargano illecitamente - con la complicità dei governi - i loro possedimenti), la persecuzione continua, la morte.
Come è potuto accadere, cosa è successo? Il 12 ottobre 1492, data che ci hanno insegnato a festeggiare con accenti epici, arrivarono i conquistatori. Non si è trattò di una vera scoperta, perché "scoprire" implica la capacità di contemplare, accogliere il nuovo, mettersi in discussione, scambiare, imparare...
Fu invece una brutale conquista, che distrusse civiltà millenarie, votando alla morte milioni di individui e riducendo in schiavitù i sopravvissuti e i loro discendenti fino ai nostri giorni.
A febbraio ho visitato alcune comunità indigene del Chiapas in Messico, divenute famose perché insorte con l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale dal 1 gennaio 1994. Era quaresima e lì ho celebrato la loro Via Crucis. La mortalità infantile è aumentata vertiginosamente in questi ultimi anni e i bambini soffrono tutti del 30% di deficit celebrale dovuto a malnutrizione, pur vivendo in una terra estremamente generosa; ma i frutti di questa terra non sono per loro: sono delle multinazionali che operano nell'export. L'esercito inquina le fonti, le comunità sono fatte evacuare con la violenza dai gruppi paramilitari, armati dall'esercito, e vanno ad incrementare il problema-fame in altri luoghi. Polho, una comunità di trecento persone, ha accolto un gruppo di novemila profughi, accettando di condividere il loro penoso destino: "erano nostri fratelli, come potevamo non accoglierli?" Qui gli anziani del Consiglio ci hanno spiegato che gli uomini soffrono di una "particolare malattia", che noi chiamiamo "crisi di identità", perché un campesino senza terra, inoperoso in ozio forzato, non è nessuno! La Caritas diocesana di San Cristobal De Las Casas ha pure portato équipe di psicologi, ma non ci sono terapie che funzionino. La medicina miracolosa è una sola: si chiama Terra e c'è in abbondanza, ma non per loro. Il filo spinato e l'esercito glielo ricordano tutti i giorni. Ci dicevano: "in tutto il mondo gli uomini stanno dove il terreno è più fertile, gli animali sui monti tra sassi e alberi. Qui avviene il contrario". La buona terra è per le mandrie delle multinazionali della carne mentre loro sono relegati sui terreni impervi! Ma ora stanno arrivando pure le multinazionali del legname ed il governo vuole obbligare le comunità a dividere tra i singoli gli atti di proprietà della terra comune, per essere facilitato nelle pressioni - e minacce - che opera perché vendano a sottocosto. E' la vecchia tattica latina del "dividi et impera". Quando tutto sarà disboscato, il terreno sarà pronto per nuovi latifondi di pastorizia. Le donne non possono uscire dai villaggi per non essere violentate. Nei pochi ospedali esistenti le donne e i bambini non possono andare: rischierebbero di essere sterilizzati contro la loro volontà. Per quanto pochi, gli indigeni sono ancora troppi per la fame di terra dei potenti: devono perciò essere eliminati. A casa nostra o in Kossovo si chiamerebbe "pulizia etnica", ma da quelle parti si parla un'altra lingua, come dire? Più neoliberale! Forse il caso più emblematico fu l'incontro con due donne che imploravano il nostro interessamento per undici loro compagni. Erano stati catturati dalla polizia durante uno sciopero pacifico fuori dal "bananero" dove lavoravano dalle 7 alle 19, sette giorni su sette, per 17 pesos (meno di 4.000 lire italiane) al giorno. Portati in carcere, non sapevano come aiutarli dal momento che lì bisogna sborsare 1.000 pesos per aver diritto ad una cella (Io pensavo al teatro dell'assurdo… ma era realtà). L'alternativa è il cortile della prigione, col sole e con l'acqua, di notte e di giorno. Altri 1.000 pesos per evitare maltrattamenti e i lavori peggiori. La tortura prevede la reclusione in sgabuzzini completamente bui per giorni interi, le botte e l'essere gettati nella fossa biologica fino al collo. Pagare un avvocato è naturalmente oltre ogni loro possibilità… Peccato che il giorno seguente, il 14 febbraio 2000, una commissione del Governo italiano, presente in Messico per verificare la clausola sociale del trattato economico tra Unione Europea e Messico, abbia dato il benestare riconoscendo che lo Stato messicano rispetta i diritti umani!
Il mese successivo fui in Guatemala e poi in Salvador. Il Guatemala in 36 anni di guerra civile ha contato miglia di vittime tra la popolazione civile che ha subito ogni sorta di tortura, non casuale, ma studiata a tavolino da sociologi in forza alle scuole di guerra statunitensi. Tra i particolari meno raccapriccianti ma pur significativi voglio ricordare l'incendio dei telai che le donne si tramandavano da generazioni e la distruzione delle sementi che i popoli Maya avevano selezionato nel corso dei secoli. Queste e ben peggiori atrocità trovarono una conferma ufficiale nella richiesta di perdono indirizzata al popolo guatemalteco dal presidente Clinton che riconobbe le responsabilità degli USA nel massacro della popolazione. La Chiesa del Guatemala aveva già reso pubblico uno studio particolareggiato dei crimini commessi in quegli anni ("Guatemala Nunca Más") ed il vescovo Mons. Juan Gerardi, che aveva coordinato il lavoro, venne ucciso il 26 aprile 1998, quarantotto ore dopo averlo presentato nella Cattedrale di Città del Guatemala.
Il Salvador è di nuovo al tracollo economico. Nelle campagne colpite due anni fa' dall'uragano Mitch non vengono utilizzati i fondi internazionali destinati per la ricostruzione dei canali, costringendo così la popolazione a vivere in una situazione di pericolo costante per obbligarla ad abbandonare la terra, destinata a ben altri proprietari. E via di questo passo…
La Colombia conta un milione di profughi interni. La coltivazione della cocaina, non voluta dai contadini, ma dall'amministrazione Regan per finanziare i "Contras" del Nicaragua, ha impoverito il suolo ed ora la riconversione delle culture, a seguito delle guerra dichiarata al narcotraffico, risulta particolarmente difficile anche per le pessime condizioni morali in cui versa il paese.
Il Brasile conta migliaia di "Sem Terra" e… passando per l'Ecuador ed il Perù, ma senza tralasciare nessuno degli stati del subcontinente, arriveremmo senza significative differenze alla punta più meridionale dell'Argentina. Così oggi la Pacha Mama è violentata e i suoi figli, che pur non smettono di amarla, vengono trucidati. Per questo serve un Giubileo vero, un Giubileo biblico, che liberi la Terra e la ridia ai suoi figli; che sciolga le catene inique dei Debiti "inventati", che liberi dalle moderne e pur antiche schiavitù. Che rimandi liberi i prigionieri politici che hanno lottato per la pace e la giustizia. Sono in tanti ad attenderlo in America Latina: i vecchi che vogliono morire in una terra libera, i giovani che non vedono futuro, gli uomini che vogliono lavorare i campi, le donne che desiderano trasmettere alle figlie i segreti delle antenate. Lo attende la Terra che vuol tornare a sostenere dignitosamente i suoi figli. Ma soprattutto lo attende Dio!

Alberto Vitali

1. Archibold G., "Pemasky en Kuna Yala: protegiendo a la Madre Tierra… y a sus hijos", in Hacia una Centroamérica verde, DEI, San José 1990,37
2. "Cultural Forest of the Amazon" in Garden, n.11, 1987,12
3. L. Boff, "Ecologia grito da terra, grito dos pobres" Rio de Janeiro, 1995
Ed It. "Grido della Terra Grido dei poveri - per una ecologia cosmica - C.E. Assisi 1996
4. ibidem
5. ibidem



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