Mons. Oscar Arnulfo Romero

 


La dimensione politica della fede, dall'opzione per i poveri 

Dal Discorso di Mons. Oscar Romero, in occasione del conferimento della
Laurea Honoris Causa, conferitagli dall'Università di Lovanio il 2 febbraio 1980

L'essenza della Chiesa sta nella sua missione di servizio reso al mondo, alfine di salvarlo nella sua totalità, di salvarlo nella storia, qui e ora. La Chiesa esiste per essere solidale con le speranze e le gioie, con le ansie e le tristezze degli uomini. La Chiesa esiste, come Gesù, "per portare la buona novella ai poveri, per guarire quelli che hanno il cuore ferito, per cercare e salvare ciò che era perduto" (cfr. Lumen Gentium, n. 8)... Per dirla in una sola parola, che è capace di riassume-re e concretizzare tutto, il mondo, che la Chiesa è chiamata a servire, è per noi il mondo dei poveri. Il nostro mondo salvadoregno non è un'astrazione, non è semplicemente un ulteriore esempio di ciò che, nei paesi svi-luppati come il vostro, si intende per "mondo". E un mondo che nella sua immensa maggioranza è costituito di uomini e di donne poveri e oppressi. E appunto di questo mondo di poveri, noi diciamo che esso è la chiave per comprendere la fede cristiana e l'agire della Chiesa, e insieme la dimensione politica di quella fede e di quell'agire ecclesiale.

I poveri sono coloro che ci dicono che cos'è la "polis", la città, e che cosa significhi, per la Chiesa, vivere realmente nel mondo. Permettetemi allora, a partire dai poveri del mio popolo, che qui io rappresento, di spiegare brevemente la situazione e l'agire della nostra Chiesa... Il fatto di constatare queste realtà e di lasciarci toccare da esse, lungi dall'allontanarci dalla nostra fede, ci ha rimanda-to al mondo dei poveri come al nostro vero luogo, ci ha spin-to, come primo passo fondamentale, a incarnarci nel mondo dei poveri. In esso abbiamo incontrato i volti concreti dei poveri di cui Puebla ci parla (cfr. nn. 31-39). Lì abbiamo in-contrato i contadini senza terra e senza lavoro stabile, sen-z'acqua né luce nelle loro povere abitazioni, senza assistenza sanitaria, quando le madri partoriscono, e senza scuole, quando i bambini iniziano a crescere. Lì ci siamo incontrati con gli operai, che sono senza diritti sindacali e che vengono i scacciati dalle fabbriche non appena provino solo a reclamarli, che sono alla mercé dei freddi calcoli dell'economia. Lì ci siamo incontrati con le madri e le spose dei desaparecidos e dei prigionieri politici. Lì ci siamo incontrati con gli abitanti dei tuguri, la cui miseria supera ogni immaginazione e che sperimentano l'insulto permanente rappresentato dalle di-more vicine.

E in questo mondo senza volto umano, che pure è l'at-tuale sacramento del servo sofferente di JHWH, che la Chie-sa della mia archidiocesi ha cercato di incarnarsi. Non dico questo con spirito trionfalistico, giacché ho ben chiaro il molto che ancora ci manca, in vista di un più pieno avanza-mento in questa incarnazione. Tuttavia ricordo questo fatto con immensa gioia, poiché abbiamo compiuto lo sforzo di non passare oltre, di non girare alla larga del ferito incontra-to lungo la strada, e ci siamo avvicinati a lui come il buon sa-maritano. Questo avvicinamento al mondo dei poveri, lo intendia-mo, al tempo stesso, come incarnazione e conversione... Questo incontro con i poveri ci ha fatto recuperare la veri-tà centrale del Vangelo, nel quale la parola di Dio ci sollecita alla conversione. La Chiesa ha una buona novella da annun-ziare ai poveri. Quelle stesse persone, che per secoli hanno ascoltato solo cattive notizie e vissuto realtà anche peggiori, ora, attraverso la Chiesa, stanno ascoltando la parola di Ge-sù: "Il regno di Dio è vicino" (Mc 1,15), "Beati i poveri, per-ché di essi è il regno dei cieli" (cfr. Mt 5,3). E, a partire di lì, hanno pure una buona novella da annunziare ai ricchi: che costoro si convertano al povero, per condividere con lui i be-ni del Regno...

E' una novità, nel nostro popolo, che i poveri vedano og-gi nella Chiesa una fonte di speranza e un sostegno dato alla loro nobile lotta di liberazione. La speranza che la Chiesa sostiene non è ingenua né passiva. E piuttosto un appello, che prende le mosse dalla stessa parola di Dio, affinché le maggioranze povere si assumano la propria responsabilità, affinché prendano coscienza del proprio stato, affinché si diano una propria organizzazione - e ciò in un paese in cui, con un intensità che può essere ora maggiore ora minore, tutto questo viene legalmente o in concreto proibito. Ed è pure una difesa, talvolta anche critica, delle loro giuste cause e rivendicazioni. La speranza che predichiamo ai poveri è perché sia loro restituita la dignità, è per dare loro il coraggio di essere, essi stessi, gli autori del proprio destino. In una pa-rola, la Chiesa non solo si è voltata verso il povero, ma fa di lui il destinatario privilegiato della propria missione, giac-ché, come ricorda Puebla, "Dio prende le loro difese e li ama" (n. 1142)...

La Chiesa non solo si è incarnata nel mondo dei poveri, dando loro una speranza, ma si è impegnata fermamente nel-la loro difesa. Le maggioranze povere della nostra nazione sono quotidianamente oppresse e represse dalle strutture economiche e politiche del nostro paese. Tra noi continuano a essere vere le terribili parole dei profeti di Israele. Esistono tra noi quanti vendono il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali (cfr. Am 2,6); quanti accumulano violenza e rapina nei loro palazzi (cfr. Am 3,10); quanti schiacciano i poveri (cfr. Am 4,1); quanti affrettano il sopravvento della violenza, sdraiati su letti di avorio (cfr. Am 6,3-4); quanti ag-giungono casa a casa e annettono campo a campo, fino a oc-cupare tutto lo spazio e restare da soli nel paese (cfr. Is 5,8). Questi testi dei profeti Amos e Isaia non sono voci lonta-ne di molti secoli fa, non sono solo testi che leggiamo con ri-verenza nella liturgia. Sono realtà quotidiane, la cui crudeltà e intensità sperimentiamo ogni giorno...

Questa difesa dei poveri, in un mondo gravemente con-flittuale, ha provocato qualcosa di nuovo nella storia recente della nostra Chiesa: la persecuzione. Voi già conoscerete i dati più importanti. In meno di tre anni, più di cinquanta sa-cerdoti sono stati attaccati, minacciati e calunniati. Sei di lo-ro sono già martiri, morti assassinati; vari altri sono stati tor-turati, e taluni espulsi. Anche le religiose sono state fatte oggetto di persecuzione. L'emittente dell'arcivescovado, come pure altre istituzioni educative cattoliche e di ispirazione cri-stiana, sono state tutte costantemente attaccate e minacciate, e ordigni micidiali sono stati fatti esplodere contro di loro a scopo intimidatorio. Numerose case parrocchiali sono state perquisite... E dunque un fatto certo, che la nostra Chiesa sia stata perseguitata negli ultimi tre anni. Ma ancora più importante è considerare le ragioni per cui è stata perseguitata. Non è stato perseguitato un qualche sacerdote, né è stata attaccata una qualche istituzione. E stata perseguitata e attaccata quel-la parte della Chiesa che si è messa dalla parte del popolo po-vero e si è levata in sua difesa. E dì nuovo troviamo in questi fatti la chiave che ci consente di comprendere la persecuzio-ne della Chiesa: i poveri. Sono nuovamente i poveri, che ci fanno capire quel che è realmente accaduto.

E per questo, la Chiesa ha cominciato a comprendere la persecuzione pro-prio a partire dai poveri. La persecuzione è stata provocata dalla difesa dei poveri ed essa pure null'altro è se non farsi carico del destino dei poveri. La vera persecuzione è stata indirizzata verso il popolo povero, che è oggi il corpo di Cristo nella storia. Questi so-no coloro che completano nel loro corpo quel che manca alla passione di Cristo. Ed è per questa ragione che anche la Chiesa, una volta che ha scelto di organizzarsi e di radunarsi nel nome delle speranze e delle ansie dei poveri, è andata in-contro alla stessa sorte di Gesù e dei poveri: la persecuzione... Questa opzione della Chiesa per i poveri è ciò che spiega la dimensione politica della sua fede, come qualcosa che è già nelle proprie radici e nei propri tratti fondamentali. E perché essa ha optato per i poveri concreti e non immaginari, è per-ché essa ha optato per i veri oppressi e i veri repressi, che ora la Chiesa vive nel mondo della sfera politica; e che essa si realizza, come Chiesa, anche attraverso questa sfera. D'altro canto, non potrebbe essere diversamente, se, come Gesù, si dirige verso i poveri... Ma c'è di più. Nel corso di questo processo, che ha por-tato la Chiesa a prendere posizione di fronte alla concreta e reale situazione socio-politica, la stessa fede è andata appro-fondendosi, lo stesso Vangelo è andato mostrando la propria ricchezza.

E così, in primo luogo, adesso sappiamo meglio che cos'è il peccato. Sappiamo che l'offesa recata a Dio è la morte del-l'uomo. Sappiamo che il peccato è veramente mortale; e non semplicemente per la morte interiore di chi lo commette, ma pure per la morte fisica e oggettiva che produce. In questo modo, noi facciamo memoria di quello che è il dato profon-do della nostra fede cristiana. Peccato è ciò che procurò la morte al Figlio di Dio, e peccato continua ad essere ciò che procura la morte ai figli di Dio. Questa fondamentale verità della fede cristiana la vedia-mo quotidianamente nelle situazioni del nostro paese. Non si può offendere Dio senza offendere il fratello. E la peggiore offesa a Dio, il peggiore dei secolarismi è, come ha già detto uno dei nostri teologi, "il trasformare i figli di Dio, i templi dello Spirito Santo, il corpo storico di Cristo, in vittime del-l'oppressione e dell'ingiustizia, in schiavi di appetiti econo-mici, in scarti della repressione politica; il peggiore dei seco-larismi è la negazione della grazia attraverso il peccato, è l'oggettivazione di questo mondo come presenza operante delle potenze del male, come presenza visibile della negazione di Dio" (p. I. Ellacuria)...

Per questo abbiamo denunciato l'idolatria che, nel nostro paese, si fa della ricchezza, della proprietà privata assolutiz-zata nel sistema capitalistico, del potere politico nei regimi di sicurezza nazionale, in nome dei quali si istituzionalizza l'in-sicurezza degli individui (IV Lettera pastorale, nn. 43-48)... In secondo luogo, noi sappiamo ora meglio che cosa si-gnifichi l'incarnazione, che cosa significhi che Gesù ha preso una carne realmente umana, e che si è fatto solidale con i suoi fratelli nella sofferenza, nei pianti e nei lamenti, nell'offerta. Sappiamo che non si tratta direttamente di un'incarnazione universale, che è qualcosa di impossibile, ma di un'incarna-zione preferenziale e parziale: un 'incarnazione nel mondo dei poveri. E a partire da loro, che la Chiesa potrà essere per tutti, che la Chiesa potrà anche prestare un servizio ai poten-ti, attraverso una pastorale di conversione; ma non vicever-sa, come tante volte è capitato. Il mondo dei poveri, con caratteristiche sociali e politiche assai concrete, ci insegna dove debba incarnarsi la Chiesa, per evitare quella falsa universalizzazione, che finisce sempre col trasformarsi in connivenza con i potenti.

Il mondo dei poveri ci insegna come debba essere l'amore cristiano, che cerca certamente la pace, ma smaschera pure il falso pacifismo, la rassegnazione e l'inazione; che deve essere certamen-te gratuito, ma deve pure cercare l'efficacia storica. Il mondo dei poveri ci insegna come la sublimità dell'amore cristiano debba passare attraverso l'imperiosa necessità di un impegno perché sia resa giustizia alle maggioranze, senza rifuggire della lotta onesta. Il mondo dei poveri ci insegna che la libe-razione arriverà non il giorno in cui i poveri saranno i meri destinatari di benefici resi dai governi e dalla stessa Chiesa, ma quello in cui essi diverranno in prima persona attori e protagonisti della propria lotta e della propria liberazione, smascherando in tal modo la radice ultima dei falsi paterna-lismi, compresi quelli ecclesiali. Il mondo concreto dei poveri ci insegna anche in che cosa consista la speranza cristiana. La Chiesa predica cieli nuovi e terra nuova; e sa che nessuna configurazione socio-politica può venire scambiata per la pienezza finale che Dio solo con-cede.

Ma la Chiesa ha anche appreso come la speranza trascendente debba conservarsi nei segni della speranza storica, per quanto si tratti di segni così semplici, nella forma della loro presenza, come sono quelli che proclama il "Trito -Isaia", quando dice "Fabbricheranno case e le abiteranno, pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto" (Is 65,21)... La fede è quella che spinge, in un primo momento, a incarnarsi nel mondo socio-politico dei poveri, e a incoraggia-re i processi di liberazione, che sono pure socio-politici. E questa incarnazione e questa prassi, a loro volta, danno con-cretezza agli elementi fondamentali della fede...

Anziché fornirvi una dettagliata analisi di tutte le oscilla-zioni della politica del mio paese, ho preferito cercare di spiegarvi quali siano le radici profonde dell'azione della Chiesa, in questo mondo, così esplosivo, che è il mondo so-cio-politico; e tentare di illustrarvi, parlandovi del mondo dei poveri, quello che è il criterio ultimo - teologico e insie-me storico - che, in questo campo, guida l'azione ecclesia-le. A seconda dell'atteggiamento che assume nei confronti del mondo dei poveri, nei confronti del popolo povero, la Chiesa, pur a partire dalla propria specificità, finisce col so-stenere o l'uno o l'altro progetto politico. Crediamo che questo sia il modo col quale conservare l'identità e la stessa trascendenza della Chiesa. Inserirci nel concreto processo socio-politico del nostro popolo, giudi-carlo a partire dal popolo povero, e promuovere tutti i movi-menti di liberazione che conducano realmente a che le mag-gioranze godano della giustizia e della pace. E crediamo che questo sia il modo col quale conservare la trascendenza e l'identità della Chiesa, perché è in questo modo che conser-viamo la fede in Dio.

I cristiani del tempo antico dicevano: " Gloria Dei, vivens homo" ("La gloria di Dio è l'uomo vivente"). Noi potrem-mo riformulare in termini più concreti questo concetto, af-fermando: "Gloria Dei vivens pauper" ("La gloria di Dio è il povero che vive"). Crediamo che, a partire dalla trascen-denza del Vangelo, noi possiamo giudicare in che cosa consi-sta veramente la vita dei poveri, e crediamo pure che, met-tendoci dalla parte del povero e cercando dì dargli vita, giun-geremo a sapere in che cosa davvero consiste l'eterna verità del Vangelo.



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