Mons. Oscar Arnulfo Romero

 


Continua a vivere

di Jon Sobrino

Credo che l'occasione della conversione di Mons. Romero - luce e coraggio anche successivamente - fu legata all'assassinio di Rutilio Grande. Mons. Romero conobbe bene Rutilio, lo considerava a tal punto sacerdote esemplare e amico, che Rutilio gli fu maestro di cerimonie nella sua consacrazione episcopale. Senza dubbio, mons. Romero non condivise la pastorale di Rutilio negli anni in cui questi lavorò ad Aguillares; gli sembrava troppo politicizzata, troppo orizzontale, lontana dalla missione fondamentale della Chiesa e pericolosamente vicina alle idee rivoluzionarie. Rutilio fu, quindi, per mons. Romero un "problema", anzi, un "enigma". Era, da una parte un sacerdote virtuoso, zelante, veramente credente, ma dall'altra la missione pastorale di Rutilio sembrava a mons. Romero scorretta e sbagliata. Questo "enigma" gli fu chiaro con l'omicidio di Rutilio. Davanti al cadavere di Rutilio a mons. Romero caddero le bende dagli occhi: Rutilio aveva ragione. Il tipo di pastorale, di chiesa e di fede che promosse Rutilio erano quelle vere. Insomma, non era Rutilio che avrebbe dovuto cambiare ma lui, Oscar Romero. Queste riflessione si tradussero nella decisione di imitare, di proseguire nella linea di Rutilio e, soprattutto sul cammino di Gesù Cristo. Credo che la morte di Rutilio ha drasticamente svegliato mons. Romero, dandogli la forza per un'azione rinnovata. La vita di Rutilio ha fornito l'indirizzo fondamentale alla vita di mons. Romero nel momento in cui egli, per la sua situazione personale come arcivescovo e per le circostanze storiche sempre più critiche, scelse i poveri.

Presagio di morte

Raggiunto il massimo livello di tensione con gli squadroni militari, mons. Romero cominciò a subodorare l'ipotesi della sua morte violenta, nient'affatto inverosimile visto il clima violento che si agitava nel Salvador. Nel suo ultimo ritiro spirituale, lasciò per iscritto una comunicazione a P. Azcue insieme alla risposta ricevuta. "Altra paura è sui rischi della mia vita. Faccio fatica ad accettare una morte violenta, ormai in queste circostanze molto probabile. Persino il Nunzio del Costa Rica mi ha avvisato di pericoli imminenti per questa settimana. Il Signore mi ha infuso coraggio dicendomi che devo essere disposto a dare la mia vita per Dio, qualunque sia la fine della mia vita. Le circostanze sconosciute si accetteranno con la Grazia di Dio. Egli ha assistito i martiri, e se è necessario, lo sentirò molto vicino nel offrigli il mio ultimo sospiro. Però più valoroso che morire è offrigli tutta la vita e vivere per Lui" (dal suo diario ). Personalmente non l'ho sentito parlare direttamente su questi timori, quantunque lo abbia fatto con altre persone. Comunque proseguì nell'ultimo mese a predicare con coraggio. Successivamente sapemmo che a metà di marzo aveva dichiarato a un giornalista venezuelano: "sono stato con frequenza minacciato di morte". Così come stavano le cose nel paese, con l'inasprimento della repressione e con sei sacerdoti già uccisi, alcuni di noi cominciarono a temere che avrebbero potuto uccidere anche mons. Romero, anche se scettici su tale eventualità a causa dell'estrema atrocità che un omicidio simile avrebbe rappresentato. Il 23 marzo ascoltammo la sua ultima omelia domenicale e le sue parole finali: "in nome di Dio, quindi, e in nome di questo popolo che ha molto sofferto e i cui lamenti salgono fino al cielo ogni giorno più tumultuosi, vi supplico, vi prego, vi ordino in nome di Dio: cessi la repressione!" Non so se queste parole siglarono la sua sentenza di morte, dato che, suppongo, la pianificazione di un omicidio professionale richiede un certo tempo. Però di fatto portarono al culmine il processo di affermazione della verità e di denuncia dell'atrocità, che oggettivamente si concluse con il martirio. Personalmente rimasi emozionato e preoccupato per le sue parole (…)

Oggi in El Salvador

In Salvador molti lo ricordano, lo amano, e lo rivendicano: comunità di base e gruppi di sacerdoti e religiosi, sindacalisti e persino combattenti del FMLN (Fronte Farabundo Martì di Liberazione Nazionale): il 24 marzo si celebra anche negli accampamenti. A molti questo non piace. Secondo il mio parere, essendo mons. Romero un uomo di Dio e uomo di questo mondo, vero credente e vero salvadoregno, tutti coloro che vivono veramente la fede e la realtà di questo mondo hanno diritto ad invocarlo, ricordarlo e celebrarlo come uno di loro. E questo non significa manipolazione, così come ricordare una delle sue decisioni non significa rifiutare le altre. Altro è il problema di coloro che debbono rivendicare mons. Romero a maggior diritto e a maggior necessità. Questi sono certamente coloro che lo invocano come cristiano e come salvadoregno: i suoi connazionali, poveri e cristiani che vedono in lui una luce e una speranza che non trovano da nessuna parte e che lo amano veramente perché egli veramente ha amato loro. La strumentalizzazione di mons. Romero si produce quando si prende solo una delle sue dimensioni e si rifiutano le altre o ancor peggio, quando lo si fa tacere, come se mons. Romero non avesse nulla da dire e da offrire al paese e alla chiesa. Periodicamente si annunciano indagini sugli autori del suo assassinio, però con questo non si fa altro che rigirare il suo cadavere, non la sua vita. Oltre l'ipocrisia delle declamazioni trionfalistiche sul governo che ha chiarito questo crimine (quando esiste ancora un cupo silenzio sugli altri 60.000), oltre la strumentalizzazione di periodici risultati dell'indagine offerti durante le campagne elettorali (in cui un partito che accusa tenta di ottenere un vantaggio sull'altro, l'accusato), il peggio è quando, accerchiando il suo cadavere, si fa zittire il mons. Romero vivo, illuminatore, ispiratore. Non ha niente da dire oggi mons. Romero sulla vita e la morte dei salvadoregni? Sulla guerra e la pace? Sulla giustizia e la riconciliazione? Nemmeno una parola ricordano di lui i governanti, i politici, i parlamentari, le Forze Armate e l'ambasciata degli Stati Uniti. Non ha niente da dire mons. Romero sulla fede, la speranza e l'impegno dei cristiani, sulla vita sacerdotale e parrocchiale, sulla profezia e la misericordia? (…) Mons. Rivera, l'unico vescovo che gli è stato fedele in vita, talvolta lo cita.

Dove continua a vivere

Mons. Romero continua a vivere. Vive in quelli che vanno a pregare in cattedrale e nel fondo dei loro cuori. Vive nei rifugi, nelle zone ripopolate, nei villaggi di campagna e nei tuguri. Vive in alcuni conventi, in alcuni professionisti, in alcuni intellettuali: nella UCA (università centroamericana, cattolica di San Salvador) si possono vedere dappertutto cartelli di mons. Romero. Non c'è dubbio che mons. Romero vive in mezzo ai poveri, per i quali la vita, la sopravvivenza, continua a rimanere un problema fondamentale: vive in tutti quelli che prendono la decisione di mettersi al servizio di questa gente e che dal suo ricordo prendono forza per correre i rischi… E vive in tutti quelli che cercano Dio con sincerità, a volte a tentoni, a volte con gioia. Mons. Romero continua a illuminare sul mistero di Dio reso tanto opaco nella crocifissione dei poveri e tanto luminoso nella loro speranza e nel loro impegno per la resurrezione.



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