Il silenzio di Dio

 



Camminando per le vie del mondo e inciampando nella sofferenza di milioni di bambini, donne e uomini, calpestati nella dignità dall'oppressione esercitata da un sistema economico che genera fame, malattie, sfruttamento, mutilazioni… la fede, se vissuta in modo serio, non può che andare in crisi e alla coscienza credente si impone la domanda di sempre: "ma Dio dov'è?". Dov'è quando i bambini saltano sulle mine, quando i farmaci costano troppo per le casse del Sud del mondo e le case farmaceutiche lucrano sui monopoli; dov'è quando la gente muore di fame ai bordi dei latifondi, quando le chiese benedicono i moderni principi liberali, sorridenti e rassicuranti, che firmando accordi commerciali fanno milioni di vittime, "esuberi" del sistema e non più figli di Dio? Come benedire ancora l'Onnipotente dopo aver guardato negli occhi un piccolo lustrascarpe di appena quattro anni, che si contende il lavoro con decine di coetanei alle cinque del mattino in un aeroporto qualsiasi dell'America Latina? Come provocare il Grande Silente? Non è semplicemente "un" problema, ma "il" problema per tutti coloro che rispettano Dio, lo amano, lo ascoltano e non usandolo come tappabuchi per far tornare i conti della vita, si rendono conto della discrepanza che intercorre tra la realtà e la sua Parola, tra l'oppressione e la sua stessa esistenza. Per questo non possiamo rassegnarci a risposte evasive ed enfatiche, pregne di devozione e fatalismo o peggio ancora di sentimentalismo "a basso prezzo", che offendono chi soffre e non rendono giustizia alla paternità di Dio. Basta con gli "anonimi brasiliani" che contano orme sulle spiagge del mare per scoprire che i momenti peggiori della vita sono quelli in cui Dio ci porterebbe in braccio. I momenti in cui, al contrario, spesso nemmeno Lui riesce a far sentire la sua vicinanza e la sua tenerezza alle proprie creature. Questo, prima ancora che un dramma per l'uomo, è il dramma di Dio! Un dramma originale, perché si colloca all'origine della decisione di voler creare un essere a propria "immagine e somiglianza". Un antico Midrash racconta che Dio per creare l'uomo abbia dovuto ritirarsi, fare un po' di posto. Certamente non in senso fisico, ma esistenziale. Creare un essere a propria immagine e somiglianza significava crearlo libero, nel bene e nel male, e quindi rispettare le sue decisioni con tutte le loro conseguenze. Significava accettare di non essere più l'arbitro assoluto dell'universo, e cosi porre un limite alla propria onnipotenza. Fare spazio perché l'altro possa essere, fissare delle regole al gioco naturale che vincolino anche se stesso. La creazione si svela così il luogo della responsabilità dell'uomo, della fiducia e del rischio di Dio e anche, in parte, del mistero della caducità, di quel male che trascendendo tutto e tutti sembra non avere responsabili; che certamente non comprendiamo ma non per questo possiamo attribuire a Dio. A Lui che invece viene a cercare chi si era perduto, ma deve ormai fare i conti con la situazione che si è creata. E' un problema di "strategia della salvezza". Se Dio fosse entrato nella storia e venisse continuamente nelle vicende del mondo per "mettere a posto le cose" seguendo la via più spiccia, come spesso avremmo voluto, facendo ricorso alla forza per "rovesciare i potenti dai troni…", dovrebbe cancellare le conseguenze delle decisioni umane, e quindi annientare la libertà dell'uomo, che non sarebbe più "a sua immagine e somiglianza", ma un burattino posto nell'universo. L'alternativa, quella voluta dal Padre e seguita da Gesù, è stata "la scelta dei poveri": entrare nella storia identificandosi con le vittime del sistema, assumendo la loro oppressione e impotenza, e, in virtù di questa, definitivamente manifestata sulla croce, salvare il mondo, senza distruggere o sminuire la dignità dell'uomo. A questo proposito D. Bonhoeffer, dal carcere di Tegel, il 16 luglio 1944 scriveva: "Così il nostro diventar adulti ci conduce a riconoscere in modo più veritiero la nostra condizione davanti a Dio. Dio ci dà a conoscere che dobbiamo vivere come uomini capaci di far fronte alla vita senza Dio. Il Dio che è con noi è il Dio che ci abbandona (Mc 15,34 )! Il Dio che ci fa vivere nel mondo senza l'ipotesi dì lavoro Dio è il Dio davanti al quale permanentemente stiamo. Davanti e con Dio viviamo senza Dio. Dio si lascia cacciare fuori del mondo sulla cro-ce, Dio è impotente e debole nel mondo e appunto solo così egli ci sta al fianco e ci aiuta. È assolutamente evidente, in Mt 8,17 8, che Cristo non aiuta in forza della sua onnipotenza, ma in forza della sua debolezza, della sua sofferenza! Qui sta la differenza decisiva rispetto a qualsiasi religione. La religiosità umana rinvia l'uomo nella sua tribolazione alla potenza di Dio nel mondo, Dio è il deus ex machina. La Bibbia rinvia l'uo-mo all'impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio sofferente può aiutare In questo senso si può dire che la descritta evoluzione verso la maggior età del mondo, con la quale si fa piazza pulita di una falsa immagine di Dio, apra lo sguardo verso il Dio della Bibbia, che ottiene potenza e spazio nel mondo grazie alla sua im-potenza". Il silenzio della croce e il grido che l'ha preceduto - "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,46) - sono quindi la parola definitiva di Dio all'uomo che soffre. Al bambino mutilato, alla donna violentata e fatta prostituire, all'uomo derubato di un dignitoso lavoro, Dio risponde: "Con te è crocefissa la mia paternità". E' il mistero insondabile, eppure rivelato, della lacerante sofferenza di Dio. E' il Regno dei cieli che soffre violenza perché i violenti se ne impadroniscono… (cfr. Mt 11,12) ma non è l'ultima parola pronunciata sulla storia. E' invece una parola di resistenza affidata alle chiese, perché il mistero che si rivela nel crocifisso non è solo da adorare ma da imitare. Gesù è l'archetipo etico delle chiese inviate a condividere l'oppressione, il disonore, l'impotenza dei poveri, per testimoniare così la presenza di Dio; delle chiese chiamate come Gesù a resistere alla tentazione satanica di adorare il sistema (Mt 4,1-11), il "dio di questo mondo" (2 Cor 4,4), nell'illusione che questo possa facilitare la missione e garantirle un successo che riservi qualche briciola anche per i poveri. Mosé non si è alleato col faraone perché fosse più umano con gli schiavi, né Gesù ha cercato i favori dell'Impero di Roma o del Tempio di Gerusalemme… Certo, questa prospettiva può spaventare; può deludere un Dio impotente, ma è il solo in grado di sostenere lo sguardo dei poveri, di guardare negli occhi gli oppressi e, in definitiva, il solo che salva. Forse anche noi, come Pietro, vorremmo convincere Gesù ad assumere un messianismo che non passi per la croce (Mt 16, 21-23). Forse vorremmo affrettare i tempi… ma almeno in questo non ci è dato di vivere il sabato santo. Fossero almeno già le tre in questo lungo venerdì santo del mondo! Ma è solo mezzogiorno: l'ora in cui nuovi agnelli innocenti vengono sacrificati sugli altari del sistema. A Pasqua mancano ancora tre giorni.

Alberto Vitali



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