Tettamanzi, guida per le
Sentinelle della Pace



C'è una frase che il nostro Arcivescovo ama ripetere ed ha solennemente proclamato durante il suo ingresso a Milano, quasi un biglietto da visita: "i diritti dei deboli non sono affatto diritti deboli". In essa mi sembra ben sintetizzata non solo la sua idea di Pace, ma anche l'indicazione di un preciso itinerario sui sentieri della giustizia e della fraternità, da proporre ad una diocesi cosciente che la Pace è anzitutto dono di Dio affidato agli uomini, perché se ne facciano interpreti e costruttori. Chi conosce, almeno un po', il Card. Tettamanzi sa bene che questa attenzione non gli è nuova, ma affonda le radici nella storia del suo ministero: se infatti dapprima l'ha affrontata con il rigore della riflessione e l'insegnamento nell'ambito della teologia morale, ha poi avuto l'occasione di sperimentarla "sul campo" come pastore. Molti, soprattutto tra i non credenti, l'avevano "scoperto" durante i giorni difficili e sofferti del G8 di Genova, nel luglio del 2001, quando, con quindici giorni d'anticipo sulle date ufficiali del summit, aveva ospitato un grande convegno - organizzato dai movimenti cattolici italiani e rivolto ai giovani - sui temi della globalizzazione e dell'economia; e in quell'occasione aveva presentato con chiarezza e tenacia (sorprendente per qualcuno) la posizione della Dottrina Sociale della Chiesa. Ma fu ancor più nei giorni convulsi del vertice, tra mistificazioni e disinformazione, che la sua voce divenne un punto di riferimento importante per quanti, giovani, famiglie con bambini, anziani, laici e sacerdoti… eravamo a Genova a pregare e a manifestare, con il desiderio sincero di ricordare anzitutto a noi stessi e agli altri che la Pace non potrà mai prescindere dalla "vera" Giustizia, cioè dall'equa distribuzione dei beni che il Creatore ha messo a disposizione di tutti. Sono già passati due anni, ma non lo dimenticheremo mai. E proprio perché il cammino della Pace non può ridursi a qualche manifestazione, in alcune occasioni particolari, ma è compito quotidiano di tutti, non ci ha stupito che nello scorso mese di marzo l'Arcivescovo abbia voluto celebrare il XL anniversario dell'Enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII invitando a Convegno tutta la diocesi e, di lì a qualche giorno, abbia rivolto un messaggio ai fedeli, nell'occasione funesta della guerra in Iraq. Ripercorrendo i passi del suo intervento a conclusione del Convegno, ripresi più sinteticamente nel Messaggio, emerge chiaro l'appello - eco di quello del Papa all'Angelus del 23 febbraio 2003 - ad essere "sentinelle della Pace, nei luoghi in cui viviamo e lavoriamo", vigilando "affinché le coscienze non cedano alla tentazione dell'egoismo, della menzogna e della violenza", ma a lasciarci guidare dalla voce della coscienza "nel suo compito di discernimento e di decisione operosa". L'Arcivescovo appare quindi ben determinato secondo il monito di Gesù, "Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno" (Mt 5,37): "… il giudizio di coscienza comporta di esprimere con estrema chiarezza e decisione un "sì" convinto e pieno alla pace e alle sue necessarie condizioni e, nello stesso tempo… ogni coscienza che obbedisce alla verità indica con certezza assoluta il grave dovere morale di dire dei "no categorici" a tutto ciò che nega la pace, o la incrina, o la rende impossibile". E qui affronta un problema antico, ma svelatosi in tutta la sua complessità nell'ultimo decennio, da quando cioè i potenti di questo mondo hanno ripreso la cattiva abitudine di giustificare le "loro" guerre con il pretesto di "portare la pace". Così, se già i romani dicevano: "se vuoi la pace prepara la guerra" e Gesù tranquillizzava i discepoli: "Vi lascio la Pace, vi do la mia Pace, non come la dà il mondo io la do a voi" (Gv 14,27), alle soglie del terzo millennio cristiano, l'uomo e la donna di oggi si ritrovano ad interrogarsi su come intendere la "vera" Pace. L'Arcivescovo risponde: "È la stessa coscienza a dirci che la pace non è solo assenza di guerra; non è pacifismo; non è prepotenza passata in giudicato e non è un ordine esteriore fondato sulla violenza e sulla paura; non è neppure repressione e ignavia o equilibrio superficiale tra interessi materiali ed economici divergenti… Essa è, piuttosto, desiderio universale di tutti i popoli ed esigenza fondamentale radicata nel cuore di ogni uomo; è proclamazione e realizzazione dei valori più alti e universali della vita, quali la verità, la giustizia, l'amore e la libertà; è dono di Dio, affidato come compito all'uomo; è un ordine sociale fondato sulla giustizia, rispettoso dei diritti delle persone e dei popoli, progressivamente teso all'instaurazione di un'autentica solidarietà operante tra tutti". Nella linea della Pacem in terris ci aiuta quindi a definire la Pace come "la Dignità di tutti" non solo rispettata, ma anche garantita, nel sincero perseguimento del bene comune. C'è poi una questione particolare, che l'Arcivescovo accenna appena nelle conclusioni del Convegno, ma riprende ed approfondisce nel testo del Messaggio. E' quella che riguarda il cosiddetto "pacifismo" e che negli ultimi mesi ha tormentato - più di altre - tanti cristiani sinceramente impegnati nei diversi movimenti a favore della Giustizia e della Pace. "Tormentato", perché spesso se ne è parlato in termini negativi, anche da parte di illustri uomini di Chiesa, senza però entrare nel merito, ma giocando piuttosto sul detto/non detto, taciuto, ma lasciato intuire. L'Arcivescovo ha invece avuto questo coraggio e perciò gliene siamo grati: "Per non cadere, però, in uno scorretto pacifismo, è necessario: educare la propria coscienza, conoscendo e approfondendo la dottrina sociale della Chiesa sulla pace e sulla guerra; evitare ogni reazione emotiva e irrazionale di fronte alle posizioni che emergono su questi problemi; essere attenti e critici nei confronti delle possibili manipolazioni della verità da parte dei mass media". Scorretto pacifismo non è perciò, tout-court, qualsiasi anelito alla Pace che non sia strettamente targato in senso cristiano, come da altre parti si voleva far credere… come se la natura umana non fosse di per sé sinceramente orientata all'ordine e alla Pace (cfr. Pacem in terris). Scorretto pacifismo è piuttosto quello che non si fonda su principi veri, quelli che si trovano iscritti nel cuore dell'uomo… ed ai principi, come ai diritti umani fondamentali, non si possono fare deroghe, mai, nemmeno in casi di emergenza, reale o presunta che sia. Scorretto pacifismo è quello che si limita ad una reazione emotiva, irrazionale e/o occasionale; è quello di chi non sa discernere da sé, nel profondo del proprio spirito, ma si lascia condizionare da manipolazioni altrui, in primis quelle della stampa. E' perciò scorretto pacifismo tanto quello di chi urla "no" alla guerra semplicemente per spirito di contrapposizione, magari a senso unico; come quello di chi, al contrario, la invoca "in nome" della Pace, non sapendo - o non volendo - credere alle positività che sempre permangono nel cuore di ognuno e dispera nelle possibilità di soluzione nonviolenta dei conflitti, sempre garantite da uno spirito sincero di dialogo. Questo, secondo l'Arcivescovo, è infatti "ricerca di ciò che è e resta comune agli uomini, anche in mezzo alle tensioni, alle opposizioni e ai conflitti; come strumento per la realizzazione del bene con mezzi pacifici…". E con buona pace di tanti profeti di sventura, in questi mesi abbiamo incontrato un grande "popolo della Pace", formato da gente di ogni condizione sociale, cultura, religione; da credenti e no, che però si riconoscono nei valori umani fondamentali che stanno alla base della nostra fede e della Dottrina Sociale della Chiesa. Quante volte, invitato da gruppi o centri culturali non cristiani, ho fatto la felice esperienza di cogliere sui volti profonda partecipazione, stupore, emozione, nello scoprire un "sentire comune" coi testi del Magistero che andavo proponendo. Erano gli stessi valori per i quali anche tanti di loro avevano speso la vita e non di rado mi hanno chiesto le necessarie indicazioni bibliografiche per poterli leggere nella loro interezza. Forse sono proprio questi i piccoli/grandi segni/miracoli del nostro tempo: quelli che ieri papa Giovanni aveva intravisto con sguardo profetico, e oggi il Papa ed il nostro Arcivescovo ci invitano a riconoscere e a perseguire: ma noi abbiamo il coraggio, la gratuità e la fede necessarie per saperli scorgere ed accettare? Non è una semplice questione di conversione personale, ma comunitaria ed anche di programmazione pastorale, giacché l'Arcivescovo ce lo ha lasciato come compito: "Ecco perché a livello personale e comunitario diventa urgente conoscere - studiandola e approfondendola nei suoi contenuti e nelle sue motivazioni - la dottrina della Chiesa sulla pace e sulla guerra, così come essa è presentata nel "Catechismo della Chiesa Cattolica" ed è contenuta nei diversi documenti della Dottrina sociale della Chiesa, in particolare nei Messaggi per la Giornata Mondiale della Pace. È quanto abbiamo voluto fare con questo Convegno ed è quanto deve diventare parte integrante degli itinerari educativi, della catechesi e della stessa predicazione nelle nostre parrocchie e nelle diverse aggregazioni ecclesiali". Come movimento della Pax Christi abbiamo voluto raccogliere questo invito, mediante la creazione di uno strumento semplice come un CD, che raccoglie tutti i documenti dei XXI Concili Ecumenici, le Encicliche del '900, i Messaggi per la Giornata Mondiale della Pace, un'antologia di testi patristici e altri interventi del Magistero. Correlati da un motore di ricerca su questi temi, speriamo che possano aiutare i gruppi, ma anche i singoli, ad approfondire la Dottrina Sociale della Chiesa per dare maggior fondamento a quelle scelte che, in molti casi, la coscienza ha già fatto maturare. Don Tonino Bello, grande profeta della Pace, diceva: "Mi sembra molto significativa una espressione di Nicolas Berdiaeff: "il pane per me stesso è una questione materiale. Il pane per il mio vicino è una questione spirituale". Spiritualità della pace significa appunto cercare il pane per il proprio vicino". Allora, parafrasando l'Arcivescovo, potremmo dire: essere sentinelle della Pace significa appunto cercare con ogni mezzo democratico che i diritti dei deboli non siano affatto diritti deboli. Solo così avremo una Pace stabile e duratura.

Alberto Vitali



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