Barbari e barbarini



Questa volta proprio non volevo crederci: "Ti giuro, stanno legalizzando la tortura!". Dall’altro capo del telefono un amico che, non meno sbigottito di me, ma certamente più informato, tentava di convincermi che alla Camera dei Deputati (dove finalmente era approdata - con vent’anni di ritardo! - la proposta di legge volta ad introdurre nell’ordinamento italiano il delitto di tortura, secondo quanto previsto dalla "Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti", adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1984) la maggioranza aveva appena approvato un emendamento proposto dalla Lega, secondo cui per configurarsi il reato di tortura le violenze o le minacce gravi devono essere "reiterate" … In altre parole, torturare una sola volta si può! Altro che repubbliche delle banane! La battuta poteva venire spontanea, ma sarebbe stata alquanto impropria: in quei paesi infatti, così chiamati con una punta di disprezzo o commiserazione, perché in essi la legge, più che dallo Stato, è sempre stata dettata dalle grandi multinazionali dell’esportazione e dove la tortura è stata praticata in maniera scientifica e su scala industriale, nessuno mai aveva pensato di legalizzarla. Al contrario, dai colonnelli argentini a quelli brasiliani, dai militari salvadoregni a quelli nicaraguensi, dal cileno Pinochet al guatemalteco Rioss Montt, tutti hanno sempre spergiurato di fronte all’evidenza, negando ogni addebito e cercando semmai di accreditarsi quali paladini dell’ordine, nel rispetto delle convenzioni internazionali. Nessuno cioè s’era mai sognato di dire: "una volta per uno non fa male a nessuno"; in Italia succede. Certo qualcuno obietterà che "loro tacevano ma facevano, mentre in Italia can che abbia non morde"... e in un certo senso sono d’accordo sulla necessità di evitare indebiti paragoni, che rischiano di banalizzare nelle beghe della politica nostrana immani tragedie altrui; ma è altrettanto certo che, se da un lato, dopo i fatti di Genova 2001, è meglio stare allerta (l’emendamento in questione sarà pure finalizzato a qualcosa…), dall’altro, can che abbia fa comunque opinione e se può permettersi di latrare in modo così scomposto è sintomo che lo spessore etico delle nostre relazioni si sta deteriorando. Puntuale quanto inaspettata, una triste conferma mi è arrivata, alcune sere dopo, nell’ambito di un incontro parrocchiale. Avevamo invitato il noto giornalista televisivo, Gad Lerner, nostro vicino di casa, a parlare sul tema "come ci cambia la guerra". Forse incoraggiato dal clima familiare, Lerner esordì con una provocazione molte forte: "chi di noi, potrebbe categoricamente escludere che posto in determinate situazioni non diventerebbe un torturatore?". Il riferimento era alle triste notizie che proprio in quelle ore stavano arrivando dall’Iraq. Confesso che lì per lì giudicai eccessivo quell’input, ritenendolo esagerato e inopportuno, sebbene anch’io faccia spesso ricorso alle provocazioni, quale stimolo per la riflessione. Nel corso della serata però dovetti ricredermi e rendermi conto, con una punta d’angoscia, di quanto effettivamente la situazione internazionale stia modificando il sentire comune. Così, dopo alcuni interventi che ridussero il problema (la tragedia!) quasi esclusivamente ad una questione politica o strategica, incapaci di cogliere la valenza etica e sociale della pratica della tortura, e perciò limitati ad una condanna basata sul danno provocato alle finalità del "nostro" intervento e non piuttosto sul valore della dignità e la salvaguardia fisica e psichica delle persone, un signore - che conosco quale persona moderata ed equilibrata, con fare tutt’altro che provocatorio, anzi sinceramente turbato e disponibile al confronto - mi chiese: "non crede, don Alberto, che in alcune condizioni limite, quali ad esempio la necessità di sventare attentati già preparati, potrebbe essere necessario torturare, per avere delle informazioni utili a salvare vite innocenti?…". Parafrasando il noto detto latino "Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini", gli risposi in tutta sincerità: "così quello che non fanno i nuovi barbari, saremmo disposti a farlo noi, nuovi barbarini?!"… A tanto ci sta conducendo la guerra: ad un imbarbarimento sottile, strisciante, ma progressivo della coscienza!

Far West, di ieri e di oggi

Nel frattempo la legge è tornata all’analisi della Commissione giustizia della Camera: non solo dalle opposizioni, ma anche dall'interno della stessa maggioranza si sono levate voci critiche e la coincidenza con lo scandalo mondiale per le rivelazioni sulle torture in Iraq sta facendo il resto. Possiamo dunque ancora sperare che, per un sussulto di coscienza o almeno per tornaconto politico, l’emendamento della vergogna venga abrogato; ciononostante non possiamo più ignorare il segnale inquietante che ha costituito. Allo stesso modo non possiamo ignorare come, ancora una volta, si stia "risolvendo" quanto è successo in Iraq e lo scandalo che ne è seguito: gli USA o meglio l’amministrazione Bush tenta di lavarsene velocemente le mani e l’Italia regge il catino. Così i politici d’oltre oceano, in piena campagna elettorale, non trovano niente di meglio che incolpare pochi militari - classificati sbrigativamente come "mele marce" - nel disperato tentativo di circoscrivere un fenomeno che invece, giorno per giorno, si rivela sempre più esteso e perciò necessariamente conosciuto dagli alti gradi dell’esercito. Non solo, Amnesty Internacional e la Croce Rossa Internazionale fanno sapere d’aver denunciato il fenomeno già dallo scorso anno ai governi incriminati, i quali - per tutta risposta - oltre ad occultare l’accaduto, nella migliore delle ipotesi hanno permesso che continuasse. Solo adesso (!) Bush ha "prontamente" ordinato di demolire il carcere di Abu Ghraib, per costruirne uno nuovo, certamente più dignitoso… e soprattutto privo dei segni e delle prove di quanto avvenuto. Da quest’altra sponda dell’oceano invece, non finiamo di indignarci ascoltando i lacchè di turno impegnati a ripetere senza posa che "queste cose - cioè le torture – si scoprono e vengono perseguite, con la massima severità, solo nelle grandi democrazie". Già! Peccato che per scoprirle si debba farlo "a dispetto" di governi tanto democratici e solo nel momento in cui questi non riescono più ad occultarle… che a finire processati dai rispettivi paesi (non dal Tribunale internazionale dell’Aja, che gli USA non riconoscono dal 1987, dopo essere stati condannati per uso illegale della forza in Nicaragua) siano soltanto i pesci più piccoli, mai i mandanti… che il massimo della pena per un milite statunitense riconosciuto colpevole di tortura sia un anno di detenzione, in un paese in cui tre suore domenicane, Ardeth Platte (anni 66), Carol Gilbert (55) e Jackie Hudson (68), sono state condannate, il 25 luglio scorso, rispettivamente a 41, 33 e 30 mesi di carcere a seguito della loro partecipazione a manifestazioni pacifiche contro la guerra!… Francamente non so se consolarmi all’idea che finalmente – per la prima volta in modo così plateale – queste brutture siano emerse e ciò permette qualche speranza, o rammaricarmi per l’ipocrisia dei tanti che si fingono stupiti, ben sapendo che non sono affatto una novità nella pratica repressiva degli USA e dei loro alleati. Basterebbe leggere le testimonianze di tante vittime dei regimi latinoamericani, torturate da ufficiali formatisi nella Scuola delle Americhe, con sede a Fort Benning in Georgia, Usa. Oppure i rapporti Nunca Mas, stilati rispettivamente dalla Commissione Nazionale sulla Scomparsa di Persone in Argentina e dalla Chiesa guatemalteca, costato, nel 1998, la vita al vescovo Gerardi. O ancora le testimonianze di tanti attivisti dei diritti umani statunitensi, come quelle di padre Roy Bourgeois, che fu ufficiale navale degli USA, partecipò alla guerra del Vietnam, poi, ordinato sacerdote cattolico, dopo aver lavorato diversi anni in America Latina, è rientrato negli Stati Uniti dove ha fondato il movimento degli Osservatori della Scuola delle Americhe… Non possiamo perciò fingere di non sapere che le torture non sono pratiche improvvisate da pochi depravati, ma seguono copioni minuziosamente descritti in appositi manuali, spesso elaborati da rinomate facoltà di sociologia (a volte sulla base di mirati studi antropologici sulle vittime, come nel caso del Guatemala, per cui il presidente Clinton chiese ufficialmente perdono delle responsabilità dei suoi predecessori) e che i carnefici vengano formati per questo, mediante lunghi e difficili corsi di preparazione e abbrutimento della personalità. Evidentemente non abbiamo qui lo spazio per approfondire tali questioni, ma mi preme sfatare almeno l’alibi secondo cui queste informazioni sarebbero impossibili da reperire, o ristrette ad un limitatissimo numero di specialisti o riviste di settore. La "Repubblica delle donne" inserto settimanale del quotidiano La Repubblica, lo scorso sabato 29 maggio, a pag. 18, ha pubblicato un ottimo servizio in cui tra l’altro si leggeva: "Nelle scorse settimane dagli archivi della CIA erano emersi documenti top secret tra cui un documento scritto 40 anni fa, in cui si descrivono i modi per "ottenere informazioni da fonti resistenti". Più o meno quelli utilizzati oggi in Iraq. Il copyright, però potrebbe non spettare agli Stati Uniti, ma alla Francia e in particolare alla "Scuola di guerra antisovversiva", nata durante la guerra d’Indocina e quella d’Algeria. Lì si insegnavano, tra le altre cose, le "tecniche di estorsione delle informazioni" con la tortura…". Perché sfogare allora il nostro moralismo infierendo sulla soldatessa Lynndie England? Sarebbe molto più onesto, oltre che dignitoso ed etico, riconoscere che il difetto sta nel manico. Ma evidentemente dignità ed etica non fanno parte del vocabolario della guerra preventiva!… Con buona pace di Bush (e dei suoi alleati) noi non siamo però arruolati, né apparteniamo ad una nazione che per fondarsi ha fatto strage dei nativi, con pratiche inedite di pulizia etnica. Potrebbe sembrare una polemica pretestuosa, sterile e ideologica, ma non lo è: quando certi peccati "originali" non vengono riconosciuti, condannati ed espiati come tali – ma, al contrario, vengono addirittura mitizzati - in un modo o nell’altro sono destinati a ripetersi: ieri era il leggendario Far West, oggi il vergognoso Far Est: Afghanistan o Iraq che sia!

La questione morale

Se non vogliamo allora che culture millenarie di civiltà e diritto siano ridotte a concetti vuoti e insignificanti, quale, in questo momento, è l’uso-abuso del termine "cultura occidentale", utilizzato solamente come clava per colpire gli "altri", dobbiamo riproporre in maniera forte ed urgente, "non negoziabile", la questione morale, in termini tanto confessionali che laici. In entrambi i casi la letteratura non è abbondante Ovvio, solitamente le questioni morali vengono discusse e affrontate nel momento che costituiscono un problema: evidentemente non furono molti quelli che, nel corso della storia, si rivelarono così spregiudicati da pretendere una giustificazione teorica della tortura. In ambito cristiano, un pronunciamento significativo lo troviamo nel testo Ad consulta vestra indirizzato da papa Nicolò I, nell’866, al principe Bogoris della Bulgaria che, neo-convertito, chiedeva lumi su come governare: "…il giudice colpisce il suo capo con sferze e punge i suoi fianchi con altri pungoli di ferro, finché dica la verità. Ciò non è permesso in nessun modo né dalla legge divina né da quella umana, giacché una confessione non deve essere involontaria, né la si deve costringere con la violenza, ma deve essere presentata volontariamente; se alla fine succede, che anche dopo aver usato quei tormenti, nulla troviate di quanto il torturato viene accusato, almeno allora non arrossite, riconoscendo quanto empiamente giudicate?…". Secondo il giudizio della Chiesa perciò la confessione di un crimine non può venire estorta con la tortura. Per amore di verità e completezza, soprattutto in un tempo in cui persino tra le fila dei cristiani non mancano quelli che pretendono di fare del revisionismo sulla barbarie dell’Inquisizione e sulla bontà delle crociate, dobbiamo registrare che questa disposizione è in netto contrasto con la legislazione introdotta da Innocenzo IV, contro gli eretici, con la costituzione Cum adversus del 22 febbraio 1244. Per costoro sia sufficiente il giudizio autorevole della Chiesa, espresso al n° 2298 dell’attuale Catechismo della Chiesa cattolica: "Nei tempi passati, da parte delle autorità legittime si è fatto comunemente ricorso a pratiche crudeli per salvaguardare la legge e l'ordine, spesso senza protesta dei Pastori della Chiesa, i quali nei loro propri tribunali hanno essi stessi adottato le prescrizioni del diritto romano sulla tortura. Accanto a tali fatti deplorevoli, però, la Chiesa ha sempre insegnato il dovere della clemenza e della misericordia; ha vietato al clero di versare il sangue. Nei tempi recenti è diventato evidente che tali pratiche crudeli non erano né necessarie per l'ordine pubblico, né conformi ai legittimi diritti della persona umana. Al contrario, esse portano alle peggiori degradazioni. Ci si deve adoperare per la loro abolizione. Bisogna pregare per le vittime e per i loro carnefici". Negli interventi degli ultimi anni vanno poi segnalati: la presa di posizione del Concilio Vaticano II, nella Costituzione pastorale "Gaudium et spes", 1965; di papa Giovanni Paolo II, nella promulgazione del documento "La evangelización", della III Assemblea generale dell’Episcopato latino-americano a Puebla, 1979; e ancora il Catechismo della Chiesa cattolica. "Tutto ciò che viola l'integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, le costrizioni psicologiche; tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni di vita subumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro, con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili: tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose. Mentre guastano la civiltà umana, disonorano coloro che così si comportano più ancora che quelli che le subiscono e ledono grandemente l'onore del Creatore" (GS 27). "La tortura fisica e psicologica, i sequestri, la persecuzione di dissidenti politici o di sospettati e l’esclusione dalla vita pubblica a causa delle proprie idee, sono sempre condannabili. Se tali crimini sono commessi dall’autorità che ha il compito di tutelare il bene comune, essi avviliscono coloro che li perpetrano, indipendentemente dalle ragioni addotte" (Puebla 531). "La tortura, che si serve della violenza fisica o morale per strappare confessioni, per punire i colpevoli, per spaventare gli oppositori, per soddisfare l'odio, è contraria al rispetto della persona e della dignità umana. Al di fuori di prescrizioni mediche di carattere strettamente terapeutico, le amputazioni, mutilazioni o sterilizzazioni direttamente volontarie praticate a persone innocenti sono contrarie alla legge morale" (Catechismo 2297, con riferimento anche all’enciclica Casti connubi di Pio XI, DS 3722-3723). Nell’ambito della riflessione laica, mi limito a ricordare la celeberrima opera di Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene (1764) e le Osservazioni sulla tortura di Pietro Verri (1777), che esprimono, con forza, la stessa condanna nei confronti di una pratica giudicata crudele e inefficace.

Lumi, non bombe

Di ciò parliamo quando diciamo "cultura occidentale" e non di altro. Se da un punto di vista strettamente cristiano ci duole l’aver ascoltare il silenzio della Chiesa italiana in questa occasione, immediatamente pronta invece a rivendicare le radici cristiane dell’Europa in ben altri contesti, ciononostante quello di ricordarci scambievolmente i fondamenti morali ed i conseguenti doveri della nostra fede è un servizio che non spetta solo alle gerarchie, ma che riguarda - quale debito di carità – ogni credente nei confronti degli altri. Per tutti invece, laici e credenti, valga ancora una volta il monito del Beccaria: "Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta" (XLII, Delle scienze). Di lumi, non di bombe, ha bisogno il nostro tempo.

Alberto Vitali



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