Giovanni Crisostomo

(344?-407)

                                                                    



Uguale distribuzione del beni importanti per la vita
e diversa per quelli non importanti

Per quale motivo Dio ha creato come beni comuni i più importanti e necessari che ci sostengono in vita, mentre quelli meno importanti e più meschini non sono comuni? Parlo cioè delle ricchezze. Per quale motivo? Perché la nostra vita sia assicurata e ci sia data una palestra di virtù. Se infatti questi beni necessari non fossero comuni, forse i ricchi, con la loro abituale avarizia, strozzerebbero i poveri: se lo fanno già per i soldi, tanto più lo farebbero per i beni necessari. E ancora, se le ricchezze fossero comuni e fossero ugualmente alla portata di tutti, mancherebbe ogni occasione di fare elemosina, ogni opportunità d'esercitare la carità. Affinché dunque ci sia dato di vivere in sicurezza, ci sono comuni le fonti della vita; e affinché ci sia data occasione di acquistare la corona e buona fama, le ricchezze non sono comuni; in questo modo, odiando l'avarizia e perseguendo la giustizia, elargendo ai bisognosi le nostre sostanze, possiamo giungere ad alleviare i nostri peccati. Dio ti ha fatto ricco; perché tu ti fai povero? Ti ha fatto ricco affinché tu aiuti i bisognosi, affinché tu ti sciolga dai tuoi peccati per la tua generosità verso gli altri; ti ha dato le ricchezze non perché tu le rinchiuda a tua rovina, ma perché tu le effonda a tua salvezza. E inoltre ha fatto sì che il loro possesso sia incerto e instabile, per annientare l'impeto della folle passione verso di esse. Infatti, chi ora le possiede non può esserne sicuro, bensì vede tante insidie nascere intorno ad esse; ma se alla prosperità andasse unita anche la sicurezza e la stabilità, a chi mai la perdonerebbero? Davanti a chi si arresterebbero? Davanti a quale vedova, davanti a quali orfani, davanti a quali poveri? Pertanto non riteniamo un gran bene la ricchezza; un bene grande è possedere non un patrimonio, ma il timore di Dio e la pietà tutta quanta. Osserva dunque: se uno è giusto e ha molta sicurezza presso Dio, anche se fosse il più povero degli uomini, può risolvere i mali di quaggiù: gli basta solamente stendere le mani al cielo, innalzare a Dio la sua invocazione, e varcherà le nubi! Si ripone tanto oro, ed è più inutile di tutto il fango per risolvere i mali che ci sovrastano, e non solo in questi rischi: se ci sopraggiunge una malattia, o la morte, o qualcos'altro di simile, resta smascherata tutta l'impotenza della ricchezza e la sua incapacità ad assicurare contro gli eventi. In una cosa sembra che la ricchezza superi la povertà: godere ogni giorno e saziarsi di squisitezze nei banchetti. Ma si può ben vedere che questo si verifica anche alla tavola dei poveri: essi godono d'una gioia che è maggiore di quella di tutti i ricchi. E non meravigliatevi, né credete che sia un paradosso quel che vi dico: ve lo chiarisco subito con l'esporvi di che si tratta. Sapete infatti, senza dubbio, e ammettete tutti che non è la qualità delle portate, ma la disposizione dei commensali che crea la gioia nei convivi: se qualcuno quando si siede a mensa ha fame, gusta il cibo, anche più misero, più d'ogni condimento, d'ogni squisitezza e di mille leccornie. Chi invece, come fanno i ricchi, non aspetta il bisogno, non attende l'appetito, per sedersi a tavola, anche se vi trovasse dei dolci, non ne proverebbe gusto, proprio perché il suo appetito non si è ancora svegliato... E non solo riguardo al cibo, ma anche riguardo alle bevande si può osservare questo: come l'appetito eccita il gusto più che la qualità delle portate, così la sete suole rendere graditissima la bevanda, anche se si bevesse solo acqua... E ciò lo si può notare anche nel sonno. Non è infatti il materasso soffice, né il letto montato in argento, né la tranquillità nella stanza, né qualcosa di simile che ordinariamente rende dolce e facile il sonno, ma piuttosto il lavoro e la fatica, e il coricarsi bisognosi di riposo e già quasi addormentati... È opera della benignità di Dio che le gioie si acquistino non con le ricchezze e con i soldi, ma con la fatica e il travaglio, con la necessità e con la saggezza. Ma non così i ricchi: pur giacendo su soffici letti, spesso restano insonni per tutta la notte, e per quante ne escogitino, non giungono a godere questa gioia. Il povero, invece, quando si toglie dal lavoro quotidiano, ha le membra affrante e prima ancora di coricarsi viene preso da un sonno profondo, soave, meritato, e ottiene così la ricompensa, non piccola, delle sue oneste fatiche. Dato dunque che il povero con più piacere dorme, beve e mangia, che merito resta dunque alla ricchezza, privata anche del privilegio che sembrava avere sulla povertà? Per questo, fin dall'inizio, Dio soggiogò l'uomo alla fatica, non per castigarlo o punirlo, ma per correggerlo e educarlo. Mentre Adamo conduceva una vita inoperosa cadde dal paradiso; mentre l'Apostolo conduceva una vita piena di fatiche e travagli, tanto da dire: Nella fatica e nel travaglio sto lavorando giorno e notte (2Cor 11,27; 1 Tess. 6,9), fu rapito in paradiso e salì al terzo cielo. Non lamentiamoci dunque della fatica e non rifiutiamo il lavoro: prima ancora che nel regno dei cieli, ancor quaggiù ne riceveremo una grande mercede: non solo la gioia, ma anche, ciò che è molto meglio, una salute purissima. I ricchi infatti, oltre che dalla noia anche da molte malattie sono sommersi; i poveri, invece, restano liberi dalle mani dei medici. Che se poi cadono ammalati, presto si tirano su, perché sono lontani da ogni mollezza e hanno un fisico robusto.

Crisostomo Giovanni, Omelie sulle statue, 2,6-8



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