Gregorio di Nissa

(335-394)

                                                                    



L'amore per i poveri

Ma a che ti serve digiunare e fare astinenza dalle carni, se poi con la tua malvagità non fai altro che addentare il tuo fratello? Che guadagno ne trai, dinanzi a Dio, dal fatto di non mangiare del tuo, se poi, agendo da ingiusto, strappi dalle mani del povero ciò che è suo? . .. I cristiani devono avere come guida l'assennatezza, e l'anima deve fuggire da ogni forma di danno che la malvagità può arrecarle. E dunque, a che serve che noi ci asteniamo dalle carni e dal vino, se poi ci rendiamo colpevoli di mancanze che nascono da un nostro deliberato proposito? Vi dico e vi assicuro fin d'ora: a nulla vi serviranno l'acqua e la dieta vegetariana, se il vostro spirito interiore differisce dal vostro aspetto esteriore... In questi giorni è arrivata una folla di ignudi e di derelitti. Un'infinità di prigionieri sta bussando alla porta di ciascuno di noi. Non ci mancano dunque forestieri ed esuli, e da ogni parte ci voltiamo, vediamo mani tese. La casa di questa gente è il cielo limpido. Il loro tetto sono i porticati, i crocicchi delle vie, i cantoni più deserti della piazza pubblica. Si alloggiano nei pertugi delle rocce, come se fossero pipistrelli o civette. Vestono cenci a brandelli; le loro mietiture consistono nella volontà di quelli che allungano loro un'elemosina; il loro cibo è quel che cade dalla mensa del primo che passa; la loro bevanda: la fontana pubblica, non diversamente dagli animali; la loro coppa: il cavo della mano; la loro dispensa: le pieghe dell'abito che indossano (sempre che questo non sia stracciato, lasciando così scappare via tutto quel che vi si getta sopra); il loro tavolo: le ginocchia rattrappite; il loro divano: il suolo santo; il loro bagno: il fiume... Conducono questa vita errabonda e selvatica, non perché tale sia da sempre il loro progetto di vita, ma per un'imposizione dettata dalla disgrazia e dalla necessità. Soccorrili col tuo digiuno. Sii generoso con questi fratelli, vittime della sventura. Da' all'affamato ciò che togli al tuo ventre. Modera con saggia temperanza due forme di appetito, che sono tra loro contrarie: la fame tua e quella del tuo fratello... Non consentire che siano altri a soccorrere chi ti sta vicino, e a giungere prima di te al tesoro che per te era stato custodito. Abbraccia l'afflitto come fosse oro. Stringi fra le tue braccia il malato come se da lui solo dipendesse la salute tua e quella di tua moglie e dei tuoi figli, quella dei tuoi domestici e di tutta la tua famiglia... Non disprezzare costoro, che giacciono stesi, come se per questo non valessero niente. Considera chi sono, e scoprirai quale è la loro dignità: essi ci rappresentano la persona del Salvatore. Ed è così: perché il Signore, nella sua bontà, prestò loro la sua stessa persona, affinché, per mezzo di essa, si muovano a compassione coloro che sono duri di cuore e nemici dei poveri. È quanto poi fanno quelli che sono vittime della violenza: essi mostrano a coloro che li attaccano l'immagine dell'imperatore, perché, alla vista di colui che comanda, i delinquenti si contengano. I poveri sono i dispensieri dei beni che speriamo, i portieri del regno dei cieli, quelli che aprono ai buoni e chiudono ai malvagi e ai disumani. Essi sono, al tempo stesso, severi accusatori ed eccellenti difensori. E difendono o accusano, non con ciò che dicono, ma in forza del semplice fatto di essere visti dal Giudice. Ogni azione che si compia a loro riguardo grida, al cospetto di Colui che conosce i cuori, con voce più forte di quella dello stesso precone... Dio è così: primo inventore dei benefici e provveditore, ricco e insieme compassionevole, di ciò di cui abbiamo bisogno. E noi, per tutta risposta, e malgrado ogni singola lettera alfabetica contenuta nella Scrittura ci insegni a imitare il nostro Signore e Creatore - nella misura in cui un mortale può poi imitare ciò che è proprio della beatitudine celeste e dell'immortalità - noi, dicevo, finalizziamo ogni cosa al nostro personale godimento, destinando la maggioranza delle cose per noi e quelle che restano per i nostri eredi. E mai che teniamo conto in alcun modo degli sventurati, mai che mostriamo alcuna benevola preoccupazione verso i poveri. Che crudeltà! L'uomo vede il suo simile bisognoso di pane, e privato di quel necessario calore che è solo l'alimento a dare, e, ciò nondimeno, né lo soccorre con slancio, né fa niente perché si salvi. Che dico, lo respinge sprezzante, come fosse null'altro che una pianta frondosa che col sole d'agosto inaridisce per pura e semplice mancanza di acqua. Quanto a lui, invece, gli debordano ricchezze tali, che con esse si potrebbero realizzare financo numerosi canali, per il sollievo di molti. Perché, come con l'acqua che scorre da una sola fonte si possono irrigare, rendendole feconde, estese pianure di campagna, così pure l'opulenza di una sola casa può sollevare dalla miseria una moltitudine di poveri. Questo, evidentemente, a patto che al proposito non si frapponga uno spirito avaro e meschino, come una pietra che venisse a tamponare la corrente d'acqua... Dunque, ponete un limite alle vostre necessità vitali! Non pensate che tutto sia vostro! Che ci sia anche una parte per i poveri, gli amici di Dio. La verità, infatti, è che tutto viene da Dio, Padre universale, e che noi siamo fratelli, e apparteniamo a una medesima stirpe. E i fratelli, se vogliamo essere giusti, hanno il diritto di ereditare in proporzioni eguali tra loro. Perché, se anche uno o due dovessero appropriarsi della maggior parte dell'eredità, nondimeno essi dovrebbero fare in modo che qualcosa rimanesse per gli altri. Ma se qualcuno pretende di impadronirsi di tutto quanto, e a tal fine esclude i suoi fratelli dalla terza e persino dalla quarta parte di eredità, ebbene, costui non è per niente diverso da un dittatore che intenda tiranneggiare, o da un barbaro animato da un'avversione irriducibile, o da una fiera insaziabile che voglia, in un banchetto, dilettarsi da sola di tutto. Ma che dico: costui è ben più feroce delle stesse fiere... E mentre tu disponi di ogni lusso all'interno della tua casa, là, alle soglie della tua porta, giacciono mille Lazzaro. Hanno il corpo ricoperto di dolorose ulcere o gli occhi cavati o, ancora, gemono per le ferite ai piedi. Sono lì a gridare, ma nessuno se ne accorge. Lo impediscono il suono dell'orchestra, il canto che si leva dai coretti spontanei, il frastuono delle risate. Che se poi i poveri si fanno appena più insistenti, così da risultare anche solo un poco molesti, ecco allora spuntare, da qualche angolo della casa, un portiere dai modi canaglieschi e alle dipendenze di un padrone crudele, che li getta lontano a colpi di bastone, o chiama i cani, o li percuote proprio lì dove essi presentano delle ferite. Agli amici di Cristo non resta allora che andarsene, per giunta portandosi dietro insulti e percosse, e senza aver ottenuto un solo pezzo di pane o un boccone di cibo: proprio loro, che sono la sintesi di tutti i comandamenti. Frattanto, dentro casa, in questa vera e propria dimora di Mammona, taluni vomitano quel che hanno mangiato, quasi fossero navi galleggianti sulle onde, e talaltri giacciono addormentati sulle mense, con affianco ancora le loro coppe. In questa casa indecente si viene dunque a consumare un duplice peccato: il primo, per essersi dati al cibo e al bere al di là di ogni ritegno; il secondo, per la fame dei poveri, scacciati via in malo modo.

Gregorio di Nissa in Orazione sull'amore per i poveri: in PG 46,455-468



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